La nuova Algeri di Le Corbusier
- Zetaesse
- 13 dic 2018
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 11 mar
di DIEGO FERRANTE

"Ecco la nuova Algeri: invece della piaga delle lebbra, che ha insudiciato il golfo e le pendici del Sahel, ora c’è l’architettura ... il gioco magistrale, corretto e magnifico delle forme nella luce"
Nel 1930, in concomitanza con il centenario del dominio francese in Algeria, Le Corbusier inizia a elaborare un piano per lo sviluppo urbanistico di Algeri. L'architetto svizzero ritiene, infatti, che la città sia destinata a diventare la capitale del Nord Africa, nonché un centro internazionale del Mediterraneo al pari di Barcellona o Marsiglia. Il progetto urbanistico lo occuperà per undici anni, tra il 1931 e il 1942, con la definizione di sei progetti che innescarono un ampio dibattito pubblico, ma non furono mai realizzati.
Il piano Obus si articolava in due elementi principali: un nuovo distretto finanziario e commerciale – da costruire demolendo parte della Casbah –, e un nastro autostradale inarcato lungo la costa, al quale si collegavano sei piani sottostanti e dodici superiori, dove ciascuno avrebbe potuto realizzare la propria abitazione. Complessivamente, la struttura avrebbe potuto ospitare fino a 180.000 persone.
Concepita come una città lineare, la nuova Algeri rispondeva alle quattro funzioni fondamentali individuate da Le Corbusier: abitare; lavorare; coltivare il corpo e lo spirito; circolare. D'altra parte, nella ricerca di una soluzione per problemi urbanistici universali, il piano Obus, trasformava radicalmente il paesaggio, ribadiva la separazione tra lavoratori ed élites europee, minimizzava le tradizioni sociali e culturali algerine. E se da un lato, negli scritti di quegli anni, Le Corbusier si dichiara entusiasta dell'architettura vernacolare, dei giardini e delle terrazze di Algeri, dall'altro privilegia un’architettura razionale che abbandona ogni ricerca di un "primitivismo poetico" per inserire nel tessuto urbano edifici preindustriali.
L’incontro con Algeri scosse la fiducia di Le Corbusier nella capacità dell'architettura di attivare o finanche una riforma sociale, eppure i suoi progetti di trasformazione della città riproducevano i segni di un conflitto ancora aperto – con le sue divisioni, i suoi edifici e le sue sintesi – senza mettere in questione in modo radicale i propri presupposti, i processi di inclusione ed esclusione di un abitare collettivo.
[La galleria raccoglie immagini di bozze e plastici del piano Obus preparati nelle fasi di elaborazione o di presentazione pubblica del progetto.]
*DIEGO FERRANTE
Scrive di filosofia, cinema e teoria critica. Ha curato la traduzione dall’inglese di vari testi di Ernesto Laclau e Chantal Mouffe; collabora con il portale online di Micromega Il rasoio di Occam. Si nutre di letture, di arte e foglie di tè. Talvolta ne legge il fondo. È tra i fondatori di zetaesse. Non sa far nodi, non sa scioglierli.
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