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  • Immagine del redattoreZetaesse

Radici nell'etere: Arnold Schönberg e Robert Ashley

di EDA ÖZBAKAY



Zetaesse, Eda Özbakay, opera "Dawn" di Bang Hai Ja (2011)
Bang Hai Ja, "Dawn" (2011)


“Al livello più basso, l’arte è semplice imitazione della natura.

Ma diventa presto imitazione della natura nel senso più ampio

del termine, ossia non soltanto imitazione della natura esteriore,

ma anche di quella interiore. In altre parole, non rappresenta

soltanto gli oggetti o le circostanze che suscitano un’impressione,

ma soprattutto queste stesse impressioni; eventualmente senza

tenere conto di cosa, come e quando. [...] Al suo massimo livello

l’arte si occupa esclusivamente di riprodurre la natura interiore.”



SEME

triade – rivolto – tonica

Che le radici non vadano sempre cercate in basso, è dimostrato dalle mille forme che possono assumere. Ramificate, fibrose o avventizie, non sempre originano dall’apice radicale dell’embrione. Possono manifestarsi nei luoghi più inaspettati e insoliti, se il sistema in cui intendono crescere lo richiede. Dove si nascondono le radici nella musica? Come nascono, di cosa si nutrono e verso dove si protendono le ramificazioni sonore, ad esempio nella crescita sonora di una composizione polifonica? In un’ottica di armonia musicale, considerando cioè il rapporto dei suoni in una dimensione verticale, il corpo di un accordo si sviluppa partendo da una "nota radice", la cosiddetta "root note". È questa nota fondamentale a dare all’accordo completo, costituito anche da altre note, il proprio nome. Una triade, ad esempio, è un accordo costituito da tre suoni: la nota fondamentale, la relativa terza (maggiore o minore) e quinta.

Un semplice accordo di Do maggiore si strutturerà quindi come segue: Do-Mi-Sol (C-E-G). In questa prima disposizione, detta fondamentale, il Do, la nota radice, si trova in basso e sostiene lo sviluppo verticale dell’accordo. Lo stesso accordo può essere, però, suonato anche invertendo l’ordine verticale, con i cosiddetti rivolti. Nei rivolti è la terza o la quinta a trovarsi nella posizione più bassa. Avremo, quindi un primo rivolto nell’ordine Mi-Sol-Do (E-G-C), e un secondo rivolto con la sequenza Sol-Do-Mi (G-C-E).





Come si vede dall’immagine, la nostra nota radice (C = Do) è libera di spostarsi all’interno dell’accordo, trovandosi rispettivamente in basso, in mezzo e in alto rispetto agli altri suoni costituenti. La sua funzione di radice rimane, però, invariata. Nel nostro esempio si tratta sempre di un accordo in Do maggiore, in tutte e tre le posizioni. Per l’analisi armonica è indifferente se un accordo si trova in posizione fondamentale o rivoltata. Ciò che cambia, è la funzione dell’accordo, ad esempio, all’interno di una progressione di accordi. Una radice tonale in basso darà sicuramente più stabilità all’accordo, mentre i rivolti possono, grazie a una maggiore delicatezza con sfumature di suono più cedevoli, risultare funzionali all’interno di un flusso melodico. Ascoltiamo, nelle battute iniziali della Sonata per Piano no.8 in do minore op.13 ("Patetica") di Beethoven, un accordo di sol maggiore in secondo rivolto tra due accordi in do minore. In questo contesto l’accordo rivoltato, presentando una struttura sonora meno stabile, meno sostenuta e più frammentata, funge da passaggio, da ponte sonoro, che agevola la relazione tra le radici degli accordi contigui. Ed ecco nascere un reticolo di radici di accordi, che tra di loro instaurano una comunicazione nella cosiddetta root progression. La progressione delle note fondamentali forma la base di una relazione armonica tra gli accordi.

Ora, se è vero che la radice non va sempre cercata in basso, è anche vero che nella musica non per forza deve essere cercata nelle vicinanze dell’accordo. Dalle triadi diffuse, le cui parti radicali si disperdono in ottave diverse rispetto alla propria radice, si può arrivare fino alla dispersione della radice tonale all’interno della composizione. Non è, quindi, soltanto l’accordo a basarsi su una propria radice: anche un’intera composizione può organizzarsi intorno a un suono centrale. Si tratta del concetto di tonica, intorno alla quale si è sviluppato il sistema gerarchico della composizione nella musica tonale.





CRESCITA

musica atonale – terra e cielo – la scala di Giacobbe


Benché la musica tonale sia stato il sistema compositivo più utilizzato in Europa e nel mondo Occidentale tra il XVII e la fine del XIX secolo, all’inizio del XX secolo la ricerca compositiva se ne allontana progressivamente. Mentre l’appartenenza a un sistema tonale rappresentava in precedenza la chiave per la lettura e la comprensione di una composizione, con l’avvento dell’approccio atonale l’accento si sposta sull’effetto che il suono provoca. Non avendo più un centro tonale, una radice prestabilita sulla quale basare la crescita musicale, ogni compositore stabilisce i parametri di riferimento validi per la propria opera. Uno dei primi a scrivere musica al di fuori del sistema tonale è Arnold Schönberg (1874 - 1951). Sebbene il primo periodo della sua produzione musicale sia ancora caratterizzato dal modo tonale - l’ultimo suo lavoro con un solo centro tonale è il Secondo quartetto per archi (1908) - di seguito Schönberg va oltre le relazioni formate da armonie triadiche.

Bryan R. Simms, in "The atonal music of Arnold Schoenberg 1908 - 1923" riporta così la descrizione della progressiva perdita delle radici tonali: "Il movimento storico in cui la tonalità tradizionale è stata messa da parte, ha detto Schoenberg, risale almeno al tempo di Bach; ha guadagnato forza nel periodo romantico e ha raggiunto il culmine all'inizio del ventesimo secolo. Il processo non è stato di ribellione o di rifiuto, ma piuttosto il risultato di un continuo arricchimento dell'armonia che è stato guidato, soprattutto nelle sue fasi successive, dall'espressione sempre più vivida di idee extramusicali. Questo cambiamento inesorabile nel linguaggio armonico portò a uno stile, prefigurato anche nella prima storia dell'armonia tonale, che il compositore chiamò "tonalità estesa". (p.10)

Il progressivo allontanarsi dalle radici non è, quindi, visto come perdita, quanto come crescita e sviluppo. Si va nella direzione di un nuovo non-centro, un non-centro vagante, esteso nell’intera opera. Schönberg individua nella dodecafonia il punto di riferimento da cui far nascere e sviluppare l’opera. Questa tecnica compositiva da lui ideata si basa sui 12 semitoni della scala temperata intorno alla quale gravitano altri suoni, che a loro volta si basano su una serie di suoni. È un centro formato da "12 note imparentate solo le une con le altre" (Stile e Idea, di Arnold Schönberg). Da questa serie (fondamentale) di suoni ne possono derivare altre tre, che nell’insieme formano la "Vierfältigkeit", la quadrinità, il centro radicale. Ascoltiamo uno dei primi lavori composti parzialmente con la tecnica dodecafonica, i 5 pezzi per pianoforte op.23 (1920/23) di Schönberg. È nella tensione tra i suoni che è possibile percepire "la radice sospesa" su cui si sviluppa il pezzo. Forse si tratta di una simile "tensione motivica" in cui Gould, nel suo testo "Musiche pianistiche di Berg, Schoenberg e Krenek", riconosce un senso di compiutezza all’interno del sempre mutevole tessuto armonico utilizzato da Alban Berg. Gould evidenzia come l’allievo di Schönberg, nella Piano Sonata op.1, abbia fatto nascere già nel motivo iniziale di tre note una "cellula germinale centrale del movimento". Una cellula in grado di spezzare le catene dei canoni armonici che l’ascoltatore intuitivamente esige, indirizzandolo verso un non-centro sostenuto dalla dialettica dei disegni melodici. A proposito dell’opera op.1 (1907/08), Gould osserva:


"....ciò che sorprende è che, pur con la vaporosità delle progressioni armoniche e benché tutte le frasi risultino negative all’analisi della fondamentale, l’opera dà nell’insieme un senso di compiutezza e offre un profilo fatto di alte vette e di creste più basse....".

In cerca di continuo nutrimento, il cammino di crescita di Schönberg si manifesta nella sua ricerca, spirituale e musicale. Il suo lavoro diventa espressione di questa costante lotta spirituale, riformulando il suo ideale musicale. Tra il 1917 e il 1922 Schönberg lavora sulla composizione di un oratorio, "Die Jakobsleiter" (la scala di Giacobbe). Il modello di base per il testo era il libro "Seraphita" di Balzac, da lui molto amato per il suo interesse nel continuo progresso dell’umanità: "Da tempo desideravo scrivere un oratorio sul seguente argomento: l'uomo moderno, che è passato attraverso il materialismo, il socialismo, l'anarchia e, pur essendo stato ateo, conserva ancora in sé qualche residuo della fede antica (nella forma di superstizione), lotta con Dio (vedi anche Jacob Wrestling di Strindberg) e alla fine riesce a trovare Dio e a diventare religioso. Imparare a pregare! Non è attraverso alcuna azione, alcun colpo del destino, tanto meno attraverso l'amore per una donna, che deve avvenire questo cambiamento di cuore." (p.151). Ecco le parole con cui l’angelo Gabriele si rivolge a un’anima in cerca di Dio nell’oratorio:

Contro la sua volontà e la tua

ce n'è uno che ti guida.

Avvicinati, tu che sei al livello intermedio

è un'immagine e possiede lo splendore;

che rassomiglia a uno molto più alto,

come il tono fondamentale il tono lontano;

mentre altri toni più profondi, anche quasi radicali,

lui, come il brillante cristallo di rocca,

sono più strani del carbone ai diamanti!

Avvicinati in modo che possano vederti!




Come osserva Daniel Albright nel suo Music’s Monism, la scala di Giacobbe di Schönberg è rappresentata da una scala tonale, su cui Dio è il punto limite di una serie di ipertoni. Schönberg intuisce una convergenza tra la nota più alta e quella più bassa, similitudine in cui l’ipertono più alto corrisponde alla nota fondamentale. L’immagine divina risuona in noi, che ci troviamo sullo scalino più basso, ma portiamo dentro di noi la somiglianza con il suono più brillante. È la via dalla terra al cielo, il protendere verso l’alto del seme che portiamo in noi, ciò che nberg cerca di ripercorrere con la musica e il testo della sua Jakobsleiter. "Nessuno, se non gli spiriti più elevati aperti alla fede, può discernere la scala mistica di Giacobbe", conclude. "Sognava di vedere una scala, che poggiava sulla terra con la cima che raggiungeva il cielo, e gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa" (The New English Bible with the Apocrypha, 1970).



FIORITURA E DISPERSIONE

avanguardia – elettronica – etere


La ricerca di nuovi percorsi compositivi dopo la crisi del sistema tonale tra l’800 e il 900 porta, intorno agli anni ’50, ’apertura delle frontiere musicali verso il nuovo. Si rifiutano i principi estetici della musica, l’innesto non deve più essere "bello", ma soprattutto "vero" nella sua funzionalità alla crescita musicale. E non è soltanto la tecnica, ma anche il contenuto della musica a schiudersi. Nuovi linguaggi e suoni, come ad esempio rumori industriali, vengono introdotti da autori di composizioni d'avanguardia, concettualmente legati alla musica contemporanea. Con l'aumento della produzione di apparecchiature elettroniche, la ricerca sonora si ramifica progressivamente e diventa sperimentale, portando a un’esperienza allargata dei concetti di spazio e tempo nella musica. Nel 1976 Robert Ashley (1930 – 2014), noto per le sue opere e spettacoli sperimentali, realizza la prima opera per televisione: "Music with roots in the Aether". L’opera si articola in 14 video, ciascuno di circa un’ora. Si tratta di interviste e riprese di esecuzioni musicali in collaborazione con altri compositori come David Behrman, Alvin Lucier e Gordon Mumma, che, come Ashley, facevano parte del ONCE Group, un collettivo di artisti, musicisti e registi, attivo negli anni 50 e 60. "Music with roots in the Aether" è un paesaggio spazio-temporale, strutturato in 14 "landscapes", paesaggi, in cui Robert Ashley innesta le interviste e le opere dei musicisti. Un ambiente reticolato che si espande e si disperde, creando una dialettica tra il compositore, la musica e l’ascoltatore. Nel primo di questi paesaggi incontriamo David Behrman. Il suo approccio performativo si basa sull’idea che la crescita musicale vada agevolata oltre il confine della composizione stessa, permettendo lo sviluppo di una comunicazione fertile tra musicista e dispositivo elettronico: "[...] dopo aver lavorato solo con l'elettronica per un po', è diventato più interessante per me combinarla con suoni acustici e con altri media. Ho lavorato su apparecchiature elettroniche fatte in casa che si occupano di circuiti sensibili al tono e operazioni sensibili al tono in cui un musicista canta o suona un tono e il tono attiva una sorta di dispositivo di musica elettronica. Penso che l'idea sia basata su alcune delle cose che l'elettronica può fare nell'estendere il nostro sistema nervoso." (p.29/30) Ascoltiamo dal minuto 57:45 "Music with Melody driven Electronics".



L'installazione di Behrman consiste in un circuito che reagisce a un suono, creando a sua volta un nuovo suono armonico. Il tutto si sviluppa senza uno spartito. Il suono, riflesso dagli specchi, sembra propagarsi nella natura circostante, nello spazio, "come un lento dispiegarsi delle possibilità del sistema", una fioritura della sua stessa natura. Il processo del fiorire sembra offrirci un appiglio in cui trovare radicamento e nutrimento, come se questo innesto spazio-relazionale altro non fosse che il medesimo centro tonale su scale diverse. David Behrman continuò la sua ricerca della propagazione del suono sempre nell’ottica di una dialettica tra armonie e spazio, che lo portò, insieme a Robert Watts e Bob Diamond, a realizzare un progetto di Cloud music (1974/79). Si tratta di un'installazione audio e video ibrida, in cui una telecamera a circuito chiuso veniva diretta verso il cielo. Il movimento delle nuvole veniva letto come se fosse spartito musicale, trasformando il cielo mutevole in una composizione vivente di note musicali.



In quest’opera, è stato un movimento di strutture frattali a creare una radice musicale, innescando la comunicazione tra sistemi su scale diverse. Anche per Gordon Mumma l’uso dello spazio nel lavoro musicale è stato imprescindibile, come evidenzia Maggie Payne, nel capitolo "The System is the composition itself" (p.109): "Mediante un uso attentamente controllato delle relazioni di fase, dell'ampiezza, del riverbero e degli spettri correlati in modo disarmonico dello stesso suono, il senso delle relazioni spaziali che l'ascoltatore percepisce può essere fatto cambiare in molte direzioni, comprese le dimensioni, la forma, la localizzazione e le direzioni del suono."


Sin dal principio dello sviluppo musicale, la dispersione nello spazio appare fondamentale. È, forse, il suono stesso a cambiare il proprio comportamento, come suggerisce Robert Sheff (v. capitolo "Sound changing its own behaviour"), comunicando il proprio bisogno, manipolando lo spazio circostante, esattamente come i meccanismi di comunicazione attuati dalle radici in natura? Le radici necessitano di estendersi, allontanarsi dalla propria origine, pur rimanendo ancorate. La loro natura interiore diventa, allora, manifesta esplorando, riconoscendosi in ogni parte del mondo che le circonda. Come il seme divenuto espressione nei germogli, e il tono fondamentale custode del suono più lontano al proprio interno. Come ogni principio sonoro che racchiude in sé lo splendore somigliante a uno molto più alto.





*EDA ÖZBAKAY

È una traduttrice e docente turco-tedesca. Intraprende studi in musicologia negli anni di formazione in Germania, si laurea a Roma in Lingua e Letteratura Inglese e Spagnola. Per Del Vecchio Editore ha tradotto opere di Çiler Ilhan e Burhan Sönmez. Scrive di musica. Autrice per pièdimosca edizioni. Redattrice di zetaesse.

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