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Serial music

di ALESSANDRO GIANNACE

Zetaesse, Alessandro Giannace. Momenti più o meno importanti di serie televisive che mi sono rimasti impressi nella memoria, soprattutto per la scelta musicale

Momenti più o meno importanti di serie televisive che (mi) sono rimasti impressi nella memoria, anche e soprattutto per la scelta musicale che accompagna le immagini. Il senso, in altre parole, è questo: «ricordo soprattutto la musica piuttosto che la scena in sé». Lo ammetto, è stato un ottimo pretesto per riallacciare i nodi con una mia vecchia ossessione, che immagino condivisa da molti. Non riuscire a dormire se non si ha almeno una puntata da vedere.

#1 ENA ΣIΔΕΡΟ ΑΝΑΜΜEΝΟ – The Wire (S02E11)


«Mr.Sobotka, I gotta ask. Why did you stop using your cellphone?»

«You guys flagged it. Think I didn’t know?»


L’ultima battuta di Frank Sobotka è il “ciak” con cui la seconda stagione di “The Wire” arriva al suo picco più alto. Sette minuti che sintetizzano perfettamente il senso dell’intera serie: in un mondo corrotto e inguaribile, chi prova a ribellarsi, anche scendendo a compromessi e sporcandosi le mani, ne viene risucchiato e travolto. Le Torri, il marciapiede e la gang di Avon Barksdale passano in secondo piano: a stagliarsi sulla scena è il porto di Baltimora, un colosso da 30milioni di tonnellate di merci scaricate all’anno e 100mila posti di lavoro di indotto, attanagliato dalla crisi. Frank Sobotka è il capo del sindacato degli “stevedores”, i portuali di Baltimora, che è sceso a patti con la malavita greca per salvare il destino dei lavoratori, messo a rischio dalla crisi economica. Il montaggio della sequenza ce lo mostra mentre va incontro al suo ineluttabile destino: indagato dalla polizia, è diviso tra due scelte parimenti dolorose. Accettare l’accordo che gli viene proposto dagli inquirenti, o quello della gang greca, pronta a pagare un falso testimone per far scagionare il figlio dalle accuse di omicidio? Un situazione da tragedia greca, dove il pathos viene elevato dalla colonna sonora: “Ένα σίδερο αναμένο” (conosciuta anche come “Εφυγε Εφυγε”, dalle parole del suo ritornello) di Stelios Kazantzidis, la superstar del “Laikò”, la nuova musica popolare greca. Da qualunque angolazione lo si consideri, l’accostamento non poteva essere più azzeccato. Dal punto di vista musicale, il contrasto tra il timbro cavernoso dell’organo elettrico e quello aspro del bouzouki è l’ideale per sottolineare la lotta interiore di Sobotka. Il testo della canzone, uno struggente mea culpa, ben si adatta alla situazione nonostante si tratti di versi di amore:

«Θα ‘χω σ’ όλη τη ζωή μου

βάρος στη συνείδησή μου

για τα τόσα σφάλματα μου»

«Per tutta la vita avrò un peso sulla coscienza, a causa dei miei sbagli», canta Kazantzidis, incarnando i pensieri di Sobotka, assalito dai rimorsi per essersi sporcato le mani dopo una vita di onesto lavoro. Ma soprattutto, a rendere l’accoppiamento perfetto è la storia personale di Kazantzidis. Figlio di emigrati del Ponto (trasferitisi da Nea Ionia ad Atene a causa della guerra greco-turca del 1919), dopo una gavetta e mille lavori umili (facchino, venditore di caldarroste, operaio tessile), sfondò nella musica, dapprima cantando nei night club, poi irrompendo sul mercato discografico. Come spiega Constantine Buhayer del Guardian, nell’articolo del 2011 che ne annuncia la morte, l’obiettivo di Kazantzidis è sempre stato «esprimere, con la sua sola forza, lo sconvolgimento sociale ed emotivo mai assorbito, a cui i greci sono andati incontro dopo la seconda guerra mondiale e la guerra civile che ne seguì. Quasi un milione di lavoratori emigrarono tra il 1950 e il 1975 - in gran parte verso l'Australia, la Germania e il Nord America - un destino malevolo noto come la “ξεριζωμα” o sradicamento». Una rappresentazione ideale del dramma di Frank Sobotka: sia in quanto figlio di emigrati polacchi, sia soprattutto per lo sradicamento dai suoi valori, sacrificati sull’altare della crisi economica, per salvare il destino dei suoi colleghi. La sequenza capolavoro di “Bad Dreams” (è questo il nome dell’episodio) è frutto principalmente di un “cambio di formazione”. Per questa puntata, la coppia di autori non è quella tradizionale David Simon-Ed Burns: quest’ultimo è stato infatti sostituito da George Pelecanos, figlio di emigranti greci che ha scelto personalmente la canzone di Kazantzidis per la scena finale.

#2 E CHIAMMALO Gomorra (S01E11)

«Sit vuje ca n'at capit manc 'o cazz. Sit comm 'e mmachin che nun camminan cchiù. Ata ì sol 'o scass»

Ancora una canzone d’amore che accompagna un epilogo tragico. Dal porto di Baltimora alle strade di Secondigliano: cambiano lo scenario, i personaggi e gli autori della serie, ma rimane la scelta di sottolineare le emozioni per contrasto. La scena: Tonino Spiderman, uno degli scagnozzi di Genny Savastano, figlio del boss locale, è a bordo del suo scooter Honda SH. Gira tronfio per le strade e con gli auricolari nelle orecchie canticchia un motivo che anche gli spettatori possono ascoltare. “E Chiammalo” di Anthony, al secolo Antonio Ilardo, noto al grande pubblico anche per una sua partecipazione a Ciao Darwin. Alle spalle di Tonino sbuca minaccioso un altro scooter, il suo destino è segnato: Tonino Spiderman è una figura di secondo piano, che non resisterà all’incalzare degli eventi. Ma nella scena del suo addio convergono due elementi determinanti nella narrativa della serie. Il primo è la faida tra la vecchia e la nuova generazione dei Savastano, con gli uomini di Genny che tentano la scalata all’impero costruito da Pietro, approfittando dell’incarceramento di quest’ultimo. Genny è appena tornato dal viaggio in Honduras, un’esperienza che ha segnato un punto di non ritorno nell’evoluzione del personaggio: non è più il ragazzino viziato che trema a tenere una pistola in mano, è un capoclan borderline, cinico e spietato, pronto a tutto per affermare la sua autorità; sprona i suoi uomini a sfidare le regole non scritte del codice d’onore. Un’attitudine ribelle che contagia anche Tonino Spiderman ed è la causa della sua esecuzione. Spiderman è colpevole di aver puntato la pistola in faccia allo zio, Carlucciello O’ Pescivendolo, uomo fidato di Pietro Savastano, che lo aveva iniziato al giro. Carlucciello aveva rimbrottato il nipote davanti ai suoi compari proprio per l’uccisione non concordata di Zecchinetta, altro sgherro di Savastano Senior. Sarà proprio Carlucciello a sferrare la raffica di mitra che mette fine alla vita di Tonino, ribadendo con un gesto drammatico quello che si erano detti nel faccia a faccia:

«Uagliò, tu nun t'ea permetter, e capit? Tu e sta vrangat 'e piscitiell 'e cannuccia r'e cumpagn r'e tuoje v'ata 'mparà a purtà o rispett p'a ggent ca ten cchiù ann e cchiù esperienza 'e vuje. E capit?».

L’altro elemento narrativo è il rapporto privilegiato tra la musica neomelodica e la serie: un “matching” che si ripropone più volte all’interno delle prime due stagioni e che con buona probabilità contraddistinguerà anche la terza, ormai in rampa di lancio. Le note neomelodiche risuonano spesso nelle bocche dei personaggi, come succede ad esempio nelle puntate 3 e 9 della seconda stagione, in due scene cult: quella in cui Nina canta “La Gelosia” di Gino Apredda e Anna Fiorillo al compleanno del suo amato Salvatore Conte (la scena di “pesce e pesce”, per intendersi) e quella in cui Annalisa “Scianel” Magliocca reinterpreta davanti allo specchio “Nun so’na bambola” di Cinzia Oscar, detournando il suo vibratore a mo’ di microfono. C’è anche un neomelodico che entra nel cast di Gomorra, interpretando la parte di se stesso: Alessio che canta la sua hit “Ancora Noi” sotto casa della ragazza di cui Genny è invaghito.Nel caso di Anthony, si diceva prima, Tonino Spiderman canta in scooter “E Chiammalo”.

Nel testo, Anthony si pone come intermediario in una lite di coppia e invita lei a prendere l’iniziativa, telefonando al suo fidanzato, colpevole di averla schiaffeggiata per gelosia. L’assolo di piano della intro accompagna una panoramica del quartiere. Poi la scena si stringe su Tonino in scooter e parte la strofa che porta al ritornello.

«E chiammalo sta vot faccio ij o nummer

Appicecat è inutile

Pecchè già saje ca te ven a cercà

Lui ama te

E pure tu ce tien

Si legge nei tuoi occhi

ca tu nun te fir e stà».

Così canta Tonino, quasi a occhi chiusi, mentre la sezione fiati comincia a caricare. Tonino, però, non riuscirà ad arrivare al prossimo refrain: il secondo «E Chiammalo» gli viene strozzato in gola da una raffica di mitra. Sarebbe stato un addio trionfale, se il suono dei proiettili non avesse spezzato il climax musicale. Il testo della canzone, e di questa strofa in particolare, si discosta completamente dalla dinamica del personaggio, ma la scelta di Anthony non è per nulla casuale. Selezionato non solo perché una sua canzone (“Esageratamente”) era stata utilizzata per il film di “Gomorra”, ma anche perché nella sua produzione c’è un videoclip che ha più rimandi alla scena di cui stiamo parlando. “Nu guaglion malamente”, pezzo strappalacrime nel quale Anthony racconta di un ragazzo che per fronteggiare la perdita dei genitori e crescere il fratello minore passa al lato oscuro. I rimandi visivi sono evidenti: il giro nel quartiere con lo scooter (in due e senza casco), i capannelli di “guaglion malament” nei condomini del rione e via dicendo. La nostra suggestione è che la scelta degli autori sia caduta invece su “E Chiammalo” che, come l’album “L’Oroscopo del Cuore” con cui è uscito, rappresenta «un Anthony maturato artisticamente e come uomo» ci racconta lo stesso cantante nella sua biografia.

#3 DOWNTOWN Lost (S03E01)

«I burned my hand, and my muffin»


Primissimo piano: un occhio si apre. Non ci sarebbe nemmeno bisogno nemmeno di specificarlo, ma stiamo parlando di “Lost”, la serie che più di ogni altra ha separato le platee di ascoltatori, divisi tra apocalittici, quelli che non lo capivano e di conseguenza non lo sopportavano, e integrati, quelli che in maniera a volte un po’ masochista cercavano di risolvere i rompicapo narrativi disseminati nel percorso dagli autori. L’apertura della terza stagione, che introduce “The Others” (gli altri abitanti dell’isola) è, a prima vista, un accostamento estremamente lineare, tra musica e immagini che nasconde però alcuni interessanti rimandi, non si sa quanto cercati dagli autori. Poco importa, quel che conta è mantenere l’aura di mistero che è sempre stata il segreto del successo di Lost.L’occhio che si apre è quello di Juliet Burke: è la prima volta che appare nella serie, in seguito diventerà uno dei personaggi chiave. Juliet con aria molto malinconica, mette su un cd nel suo impianto stereo. Dalle casse escono le note e le parole di “Downtown”, la grande hit di Petula Clark, dagli occhi di Juliet un accenno di lacrime:

«When you're alone, and life is making you lonely

You can always go

Downtown

When you've got worries, all the noise and the hurry

Seems to help, I know

Downtown

Just listen to the music of the traffic in the city

Linger on the sidewalk where the neon signs are pretty

How can you lose?»

È la classica canzone che si ascolta per tirarsi su di morale, con un testo leggero leggero. Se sei triste, fatti un giro in centro e tutto passerà canta Petula Clark. La tristezza di Juliet è quella di chi ha abbandonato tutto per trasferirsi a lavorare sull’isola. In quel momento prova a sconfiggerla preparando dei muffin per i suoi amici del “book club” nelle “Barracks” il complesso residenziale che ospita gli “altri”. La scena va armoniosamente avanti per circa un minuto, nel quale Juliet rassetta casa, si brucia una mano mentre prepara i dolci e poi, sentendo il campanello, va ad aprire la porta. Lento fade out della musica e Juliet spiega all’ ospite sulla porta di essersi bruciata una mano. Fino qui, tutto liscio. Un accoppiamento musica-immagini quasi da manuale didattico, considerando anche che il pezzo di Petula Clark è stato una hit mondiale, tradotta in altre lingue, italiano compreso: da noi però, sono stati stravolti titolo e testo. Ciao Ciao racconta infatti di un amore estivo finito al termine delle vacanze).

Andando più a fondo nell’analisi, però, si scoprono singolari parallelismi. Il primo rende ancor più stringente l’abbinamento musica immagini e riguarda la genesi della canzone stessa. Scritta e composta da Tony Hatch, ispirato dalle luci di Times Square a New York, fu sottoposta a Petula Clark, già famosa in Gran Bretagna grazie alle sue apparizioni televisive e cinematografiche (era chiamata la Shirley Temple del Regno Unito, avendo iniziato da piccolissima la sua carriera nel mondo dello spettacolo), nella sua casa di Parigi. Petula stava cercando di sfondare anche nel mondo discografico e si rivolse al fidato Hatch (con cui aveva già collaborato) per trovare la “hit” con cui consacrarsi. Hatch le fa ascoltare qualche canzone che ha composto per lei, ma non c’è nulla che la convinca. La folgorazione arriva quando Petula si sposta in cucina e comincia a preparare il tè e i biscotti per il suo ospite, un po’ come sta facendo Juliet nella scena di Lost. Hatch comincia a suonare qualche nota al pianoforte e Petula gli dice «È questa la canzone che voglio. Scrivi un bel testo e un buon arrangiamento e, anche se non diventerà una hit, almeno avremo registrato qualcosa di cui andare fieri».

Non sappiamo se questa similitudine sia una casualità o meno, mentre se ci spostiamo qualche secondo più avanti rispetto al minuto iniziale, c’è un altro elemento che da più profondità all’accostamento. L’accesa discussione del book club (si parla di “Carrie” di Stephen King) viene interrotta da un tremendo boato. È uno dei tanti salti temporali della serie e in questo preciso momento si ritorna all’attimo in cui il volo 815 della Oceanic Airlines si spezza in due sopra l’isola misteriosa, l’incipit di tutta la vicenda, in altre parole. Che c’entra un disastro aereo con una canzone d’amore, direte voi? Ancora una volta lavoriamo di suggestione: dopo la tragedia dell’11 settembre 2001 “Downtown” fu utilizzata in alcuni spot per incoraggiare i turisti a visitare di nuovo Manhattan. Chissà che JJ Abrams e David LIndelof (ideatori della serie, ma anche autori di questo episodio) non abbiano avuto il “la” creativo proprio ascoltando le note di Petula Clark.

#4 (DON'T FEAR) THE REAPER Prison Break (S03E08)

«Michael, you like this?»

«Yeah»

«It's a special occasion, my dad's coming today, so I'm just gonna wait here till he shows up»

«You look sharp»


È una giornata come tante altre nella “Penitenciaría Federal de Sona” il carcere di Panama dove si dipana il plot della terza stagione di Prison Break. Uno zoom aereo all’inizio della puntata ci introduce nella vita di tutti i giorni: si mercanteggia e contratta nei corridoi, c’è chi fuma crack da una pipa, chi fa sollevamento pesi, chi attende emozionato una visita, mentre un altro detenuto è stato ucciso e un velo viene steso sul suo cadavere. È lo spaccato di una prigione terribile, autogovernata dai carcerati dopo una rivolta: le guardie la controllano dall’esterno, dietro le sbarre le controversie si risolvono sfidandosi con il coltello fino alla morte. Eppure le immagini e la musica comunicano altro, quasi una sensazione di quotidiana tranquillità. “No tema el reaper, canta la band La Pistola, reinterpretando il successo dei Blue Oyster Cult, “(Don’t fear) The Reaper”. Non aver paura della morte, dice il testo, una lunga disquisizione su amore eterno e ineluttabilità della morte.

«All our times have come

Here but now they're gone

Seasons don't fear the reaper

Nor do the wind, the sun or the rain, we can be like they are

Come on baby, don't fear the reaper

Baby take my hand, don't fear the reaper

We'll be able to fly, don't fear the reaper

Baby I'm your man»

Un testo che si aggancia perfettamente alla trama della stagione: Michael Scofield, fuggito dalla prigione statunitense di Fox River è finito di nuovo dentro, in un carcere ancora più infernale. Riparte daccapo con un fardello in più: ha appena appreso che la sua partner Sara è stata uccisa. Ci sarebbe da disperarsi, ma Michael va avanti e continua a pianificare la sua seconda fuga. Il destino - o meglio, gli autori - gli faranno incontrare di nuovo la sua amata, anche se bisognerà attendere la quarta stagione per il retconning, lo strumento con cui gli autori di una serie fanno una clamorosa marcia indietro narrativa. Dal punto di vista musicale la scelta di utilizzare una cover in lingua spagnola è un elemento di continuità con quanto avvenuto in precedenza e con quanto avverrà più in là: una sottolineatura linguistica dovuta all’ambientazione della stagione che ad esempio ha portato a utilizzare una versione latina di “All Along The Watchtower” di Bob Dylan, (“A lo largo de lo camino” di El Syd) così come l’edizione spagnola di “Crying” di Roy Orbison: è “Llorando” di Rebekah del Rio, la cantante di San Diego che appare anche in un toccante cameo in Mulholland Drive di David Lynch, interpretando lo stesso pezzo.

#5 CONOCÌ LA PAZ Dexter (S01E01)

«People fake a lot of human interactions, but I feel like I fake them all, and I fake them very well»


La “normalità del male” è un pezzo di mambo che parte mentre sul video un serial killer sta per terminare la sua vittima con un seghetto elettrico. È così che gli autori di Dexter scelgono di inaugurare la sua lunga lista di omicidi. Non poteva essere diversamente nella serie che ha ribaltato la prospettiva narrativa, mettendosi dalla parte di un assassino seriale. Del quale conosciamo il lato oscuro, ma anche quello di facciata. Tecnico ematologo del Miami Police Department, goffo e impacciato nei rapporti interpersonali, buon papà quando serve, il classico bravo ragazzo, in altre parole. Dietro tutto questo però, c’è un istinto omicida che non si può mettere a freno. L’unico modo per conviverci è assecondarlo, ma per preservare la maschera di normalità bisogna incanalarlo. Uccidendo solo i criminali sfuggiti alle maglie del sistema giudiziario, utilizzando una precisione più che chirurgica nell’occultare le prove.

«Cuando a Varadero llegué, conocí la felicidad,

cuando a Varadero llegué como fue verdad,

recuerdas mi bien que encontré tu gran amor sin maldad

y cuando tus labios besé conocí la Paz»

E così la prima uccisione di Dexter, il serial killer con un codice d’onore, viene introdotta al pubblico da una sospirante canzone d’amore del cubano Benny Moré, Conocì la paz. Ancora una volta oltre il legame linguistico e territoriale (la serie Dexter è ambientata a Miami, dove la componente etnica cubana è assai rilevante) c’è qualcos’altro che si muove sottotraccia. Il testo della canzone, in questa prima strofa è chiaro: un innamorato racconta di come ha trovato la pace nel momento preciso in cui ha baciato la donna dei suoi desideri. È la stessa sensazione di pace che prova Dexter non appena libera le sue energie negative, uccidendo la “feccia” della società. Tant’è che l’esecuzione materiale della sua prima vittima è troncata nel momento topico: l’inquadratura passa subito su Dexter che sfreccia strombazzando sulla sua barca, dispensando finta simpatia e buone maniere agli altri guidatori del mare. Un lato “buono” che può venir fuori solo dopo che il “passeggero oscuro” è stato soddisfatto. Poi la musica va in fade out e il pubblico incontra per la prima volta Harry, il poliziotto papà adottivo di Dexter, che ha scoperto le sue tendenze omicide sin da quando era un bambino, dopo l’uccisione del cane dei vicini di casa. Sarà poi lo stesso Harry, a suggerire a Dexter di costringere il suo lato oscuro all’interno di un codice etico.

«You're different, aren't you, Dexter?»

«What do you mean, pop?»

«The Billups say Buddy disappeared. I found the grave, son»

«That dog was a noisy little creep, dadHe was barking all night, and mom couldn't sleep. And she's very, very sick, and that lousy dog was yapping at every leaf that blew down the sidewalk!»

«There were a lot of bones in there, Dexter, and not just Buddy’s».

Dunque è così che scopriamo il “dark passenger” di Dexter: la musica riparte e ci accompagna fino al salone di casa sua, dove apre un doppio fondo dietro al condizionatore nel salone. Così si conclude il rituale delle uccisioni: è lì che Dexter, archivia il sangue di ogni vittima, custodendolo in un vetrino, ritrova ogni volta la sua personale “Varadero”.

«Blood, sometimes it sets my teeth on edge.

Other times, it helps me control the chaos.

The code of Harry, my foster father, is satisfied.

And so am I».



*ALESSANDRO GIANNACE

Giornalista, scrive di sport e scommesse. Spesso in cucina, a volte dietro i giradischi. Non ama le note biografiche, ma per noi ha fatto un'eccezione...

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