top of page
Immagine del redattoreZetaesse

L'incredibile viaggio delle parole

a cura della REDAZIONE e FRANCESCA LUCARELLI



In un testo del 2019 Stefano Mancuso ha esplorato uno degli aspetti forse più controintuitivi del mondo vegetale: le piante non sono immobili, ma si muovono e hanno la capacità di migrare da un’area all’altra. Ci sono piante che per spostarsi si affidano all’uomo, altre scelgono come vettore gli animali (il frutto è spesso l’espediente). Altre ancora, per germogliare, affidano i semi al vento. Recuperando un thread molto partecipato su reddit, abbiamo scelto quattro mappe etimologiche per raccontare l’intreccio tra il diffondersi di piante e frutti, e l’evoluzione delle parole nelle diverse lingue europee.


Zetaesse. Francesca Lucarelli. Quattro mappe etimologiche che ci raccontano l’intreccio tra il diffondersi di piante e frutti e l’evoluzione delle parole nelle diverse lingue europee.

albicòcca

dall’arabo al-barqūq che oggi indica la 'prugna, susina', probabilmente dal greco praicòkium, a sua volta dal latino praecoquus.

Il frutto e l’albero si ritiene siano originari della Cina ed esistere da oltre 5000 anni. Sembra che siano stati i Romani a diffonderlo nel bacino del Mediterraneo: nell’Editto di Diocleziano, emesso nel 301, si parla infatti di praecoqua, pesche e albicocche, partendo dalla parola praecox, ovvero precoce. Nel De re rustica, trattato di agraria romana a opera di Lucio Giunio Moderato Columella, l’albicocca è invece detta pomum armeniacum, esplicitando un legame con la regione dell’Armenia. I Greci hanno in seguito adottato la parola latina, così come si attesta negli scritti di Galeno e Dioscoride.

Gli arabi hanno conosciuto i frutti dell’albicocco sulle sponde del Mediterraneo, e li hanno poi diffusi nei vasti territori dell’impero. La parola araba ha ispirato dunque il lemma italiano albicocca, ma anche abricot in francese, apricot in inglese, albaricoque in castigliano.



Zetaesse. Francesca Lucarelli. Quattro mappe etimologiche che ci raccontano l’intreccio tra il diffondersi di piante e frutti e l’evoluzione delle parole nelle diverse lingue europee.

arància

Di derivazione araba, dal persiano narang, che risale probabilmente al sanscrito nagarañja, frutto prediletto dagli elefanti.

Originario della Cina sarebbe stato importato in Europa all’inizio del quattordicesimo secolo da marinai portoghesi, per questo motivo l'arancia è chiamata anche portogallo. Questo nome è rimasto in alcuni dialetti italiani, ma anche in greco (portocáli), rumeno (portocală), albanese (portokall). Tuttavia alcuni testi antico-romani ne parlano già nel primo secolo: l’albero e il suo frutto erano coltivati in Sicilia, dove la sua diffusione si arenò, ed era chiamato melarancia. Il lemma ha lasciato tracce nella lingua polacca (pomarańcza), ceca (pomeranč), slovacca (pomeranč), serba (pomorandža) e slovena (pomaranča).

Nelle lingue germaniche, la parola che indica l'arancia di solito significa letteralmente "mela cinese" (in tedesco apfelsine, in olandese sinaasappel). Successive derivazione si trovano anche nelle lingue slave (ad esempio apelsin in russo) o baltiche.

In arabo l’arancia è burtuqāl lemma che ha sostituito la parola persiana nāranğ, rimasta, invece, nello spagnolo naranja, o nell’ungherese narancs.Attualmente in arabo il burtuqāl indica l'arancia dolce, mentre nāranğ (d'origine persiana) indica l'arancia amara. In italiano la parola ha subito la caduta della N ritenuta parte dell’articolo (un narancio); la forma narancio è attestata nell'Ariosto e in alcuni aree della penisola



Zetaesse. Francesca Lucarelli. Quattro mappe etimologiche che ci raccontano l’intreccio tra il diffondersi di piante e frutti e l’evoluzione delle parole nelle diverse lingue europee.

méla

Il melo ha origine in Asia centrale sulle montagne del Tian Shan con le sue mele selvatiche (la Malus sieversii), mentre l'evoluzione dei meli botanici risalirebbe al Neolitico. Furono in seguito le grandi migrazioni indoeuropee a diffondere il melo in tutto il mondo allora conosciuto, producendo nel corso del tempo uno straordinario numero di varietà e ibridi.

A dispetto della sua diffusione già in tempi antichi, la parola mela presenta una inusuale diversità etimologia tra le lingue europee. La parola tedesca apfel, differisce da quella francese pomme, che differisce dall’italiano mela, che, a sua volta, differisce dallo spagnolo manzana. È insolito che un termine così antico tragga origini da radici proto-indoeuropee così varie, ed è ancora più raro che questa varietà si sia mantenuta nell’uso moderno.

La ragione di queste differenze deriva dalla fonte di ogni parola. L’inglese e il tedesco utilizzano per il melo e il suo frutto il prefisso ab-/ap-/af-/av- appartenente alle prime lingue celtiche (così come la parola russa jabloko e polacca jablko). La parola æppel attestata nell’inglese antico poteva riferirsi a tutti i frutti a eccezione dei frutti di bosco (ma senza escludere le noci). Il francese pomme deriva dal latino pomum, e anch’esso in origine designava ogni tipo di frutta.

Il lemma pomum è emerso in latino solo dopo l’adozione del Cristianesimo come religione di Stato. Prima del IV secolo la parola malum, termine greco per melone, era utilizzata ugualmente per riferirsi alla mela. Anche il lemma spagnolo manzana deriva da latino, nello specifico dalla pronuncia iberica del termine matianum, una tipologia di mela selezionata e coltivata da Caio Mazio, amico di Cesare e Cicerone nonché autore di diversi volumi di gastronomia.



Zetaesse. Francesca Lucarelli. Quattro mappe etimologiche che ci raccontano l’intreccio tra il diffondersi di piante e frutti e l’evoluzione delle parole nelle diverse lingue europee.

La parola deriva dalla resa del carattere cinese 茶 nel dialetto min meridionale, diffuso nel sud del Fujian e a Taiwan. Da questa pronuncia cinese nascono, con lievi varianti, le parole per tè in: malese, danese, inglese, spagnolo, svedese, ebraico, cingalese, tamil, finlandese, francese, italiano, lettone, tedesco, olandese e ungherese.

Dalle pronunce piuttosto simili dello stesso carattere 茶 nei dialetti settentrionali (chá) e in cantonese (chah) derivano i nomi del tè in: giapponese, coreano, persiano, arabo, turco, russo, portoghese, ceco, slovacco, serbo, urdu, uzbeco, hindi, tibetano, tailandese e rumeno. Il greco ha una denominazione da ciascuna delle due forme: téion e τσάι; la prima tuttavia è oggi desueta.

Il nome del tè in origine era t’u e indicava anche le erbe amare, mentre la parola cha, introdotta tra il terzo e il primo secolo a.c., divenne di uso comune solo diversi secoli dopo con la pubblicazione del libro Chajing (Canone del Tè) di Lu Yu. L'arte cinese del tè raggiunse la sua massima sofisticazione durante la dinastia Sung e, sempre nello stesso periodo si diffuse in Giappone per opera del monaco buddista Eisai.

In Europa il tè fu introdotto intorno al 1557, anno in cui la città di Macao diventò parte del Portogallo come porto commerciale verso l’impero cinese, ma fu solo nel 1610 che la Compagnia Olandese delle Indie Orientali diede avvio all’attività di importazione. Un secolo dopo la Compagnia britannica delle Indie orientali ne seguì le orme.





*FRANCESCA LUCARELLI

È una grafica freelance nata a Roma. Illustratrice per passione, vive a Latina da 10 anni, dove coltiva la sua creatività ortodossa e dove è nata Fluke. Fluke beve acqua distellata e non smette mai di imparare.

Comments


bottom of page