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Carlos Latuff, cronista della barbarie

a cura di SARA DE CARLO e CLELIA PINTO


Dal 7 al 12 ottobre scorso l’ex Asilo Filangieri di Napoli ha ospitato una mostra di vignette satiriche di Carlos Latuff. Nei suoi giorni napoletani, l’artista brasiliano di origini libanesi ha incontrato il pubblico e ha messo in piedi una piccola performance in occasione di un’esposizione dedicata al Chiapas, titolata I colori della terra. Noi abbiamo avuto il privilegio di condividere con Carlos un po’ di tempo e di intervistarlo in un altro spazio liberato, all’ex Opg Je so’ pazz di Materdei. Prezioso è stato l’aiuto di Clelia Pinto, senza la sua dedizione di interprete e traduttrice queste parole sarebbero scomparse nel vuoto, anzi non sarebbero mai arrivate ad apparire.

Zetaesse. SARA DE CARLO e CLELIA PINTO. L’ex Asilo Filangieri di Napoli ha ospitato una mostra di vignette satiriche di Carlos Latuff. Ecco la nostra intervista
Carlos Latuff durante il suo incontro all'ex Asilo Filangieri di Napoli

La nostra rivista si sta occupando del tema dello ‘sparire’. Il Sud-America ha una storia che ahimè ha troppe volte dovuto confrontarsi con l’idea di sparizione. Penso alla scomparsa dei popoli indigeni, penso alla scomparsa di territori sottratti a chi li abitava, penso ai desaparecidos cileni, brasiliani e argentini, penso oggi a Santiago Maldonado. Quali sono i modi attraverso cui la tua satira sceglie di raccontare l’idea di sparizione?

Quel che richiama la mia attenzione rispetto alle sparizioni attuali, nel confronto con il tempo della dittatura in Brasile e in Argentina, è il fatto che oggi, in democrazia, continuino a sparire più persone che allora. Esiste addirittura una campagna dell’ordine degli avvocati in Brasile: “i desaparecidos della democrazia”. Vige un apparato poliziesco sia in Brasile che in Argentina, più in Brasile che in Argentina: il caso di Santiago Maldonado è un residuo della dittatura, ma non è così comune, tanto che questo caso commuove il paese e il mondo intero. Nel caso del Brasile abbiamo avuto il caso di Amarildo, abitante di una favela, scomparso per mano della polizia, di cui non si hanno fino a oggi neppure le ossa. Così, in Brasile si registrano molti più casi che in Argentina perché la polizia continua a lavorare come in passato: torture, esecuzioni extra giudiziarie, sparizioni. Quel che provo a fare è denunciare queste sparizioni e questa cultura provenienti dalla dittatura militare attraverso i miei disegni, le mie vignette politiche.

Tu fai apparire ponti, la tua opera ha un’importante vocazione internazionalista. Come si fa a collocarsi con tanta prossimità su barricate di altri posti che non conosciamo in prima persona?

È interessante perché quando viaggi in altri paesi, con diverse culture, diverse religioni, diverse lingue, ti rendi conto che – nonostante tutto – affrontano problemi sociali simili: che sia il problema dei migranti, che sia quello dell’omofobia, dei femminicidi, i problemi sono gli stessi in tutto il mondo. Per questo dico spesso che la sinistra, così frammentata, dovrebbe unirsi contro un nemico comune a tutti, ma purtroppo noi che conosciamo il mondo della sinistra, sappiamo che ognuno sta nel suo, ognuno si fregia di essere “rivoluzionario”, così c’è l’anarchico, il socialista, lo stalinista, il maoista, e i vari –ista che continuano a combattersi… “fuoco amico”! Mentre il fascismo non è diviso: è aggregato, unito. E cresce mentre noi continuiamo a spararci addosso anziché colpirlo. Chissà, speriamo, che la sinistra possa svegliarsi e unirsi contro questo nemico comune, che sia il fascismo, il capitalismo, l’individualismo, il colonialismo, l’imperialismo, il razzismo. Per questo non c’è differenza, per me, come ho detto anche durante l’incontro all’Ex Asilo Filangieri: quando sono stato la prima volta in un campo di rifugiati in Palestina, c’erano solo tre differenze rispetto a una favela di Rio de Janeiro: le stesse costruzioni, gli stessi attacchi abusivi di elettricità, le stesse fogne a cielo aperto, le differenze erano solo che le lettere erano arabe, le donne coprivano la testa e gli uomini armati non erano trafficanti. Indipendentemente dalla lingua che parli, che si sia Italiani, Palestinesi, Brasiliani, abbiamo un nemico comune che parla tutte le lingue. Per questo per me non è così difficile disegnare di paesi diversi perché alla fine dei conti è quasi tutto uguale in ogni luogo.

Nel corso del ‘900 la satira è stata usata dal potere come un importante apparato ideologico, penso alla satira di derivazione fascista e nazista, agli stereotipi sessisti e machisti di cui è imbottita la satira di costume. Insomma, la satira appartiene tanto alla conservazione del potere quanto alla sua contestazione. Qual è la differenza sostanziale tra questi due usi opposti? C’è qualcosa che permette di distinguerli immediatamente?

Si tratta sempre di satira. Non c’è satira giusta o satira sbagliata, satira di destra o di sinistra. È come un’arma carica. Dipende da chi preme il grilletto. Il problema non è l’arma in sé, ma come la usi. Si possono fare battute razziste, omofobe, maschiliste: sono battute. Il problema non è sapere se è satira o meno, il problema è sapere cosa vuoi, con questo: l’obiettivo è umiliare l’immigrato? Umiliare il nero, il gay, la donna? È umiliare il potere? È umiliare la tortura, la polizia, lo stato? Si tratta di questo: come un’arma, puoi rivolgerla contro un fascista o contro un bambino, decidi tu cosa fare con quest’arma. Penso a Charlie Hebdo: ho sempre detto chiaramente di essere contrario all’esecuzione di persone colpevoli d’aver pensato, di essersi espresse, scrivendo, disegnando, girando film. Sono contrario. Nessuno può essere d’accordo che delle persone vengano fucilate per aver fatto un disegno. Quindi, sono contrario a quell’esecuzione. Però, a differenza di tante persone, non ho usato su facebook la scritta “Je suis Charlie”: io non sono affatto Charlie! Non lo difendo e non se l’aspettino da me. Nel momento in cui fai satira contro i musulmani, in verità stai alimentando, stai seguendo l’agenda politica dell’estrema destra europea che ha scelto i musulmani come nemico, in passato erano i comunisti, ora i musulmani. Se C.H. è fatto da artisti intelligenti, sapranno che nel momento in cui disegnano Maometto nudo… non è una satira qualsiasi, l’estrema destra ha usato, quel disegno. L’artista deve avere la responsabilità di sapere come il suo lavoro sarà utilizzato. Bisogna conoscere il contesto storico, sociale: la satira non può esser fatta in maniera irresponsabile – che penso sia quel che è successo con C.H.. Il dibattito seguito alla morte di quelle persone riguardava la libertà di espressione. Io sono a favore della libertà di espressione, chiaro. Ma questo argomento è “scivoloso”. In Europa la libertà d’espressione non si applica a Israele: il BDS è stato attaccato più volte, a livello giudiziario, in vari paesi d’Europa, in Francia, in Inghilterra, questo significa che la libertà d’espressione è quella che può umiliare e deridere i musulmani, ma quando si tratta di criticare la politica dello stato d’Israele, non serve: è antisemitismo. Questo argomento – che sia stata attaccata la libertà d’espressione con quel ch’è successo a C.H. – è un argomento falso. Non si può dimenticare che uno dei vignettisti, che ha disegnato Maometto con il turbante-bomba, è stato premiato da Angela Merkel come “eroe della libertà d’espressione”. Quindi la libertà d’espressione, come i diritti umani, è facilmente manipolabile politicamente. È un argomento ipocrita, questo della libertà d’espressione.


Zetaesse. SARA DE CARLO e CLELIA PINTO. L’ex Asilo Filangieri di Napoli ha ospitato una mostra di vignette satiriche di Carlos Latuff. Ecco la nostra intervista

Glauber Rocha col Cinéma Nôvo opera una critica al concetto di avanguardia, denunciando un insano atteggiamento coloniale nello sguardo di artisti e intellettuali che tentano di raccontare la subalternità. Come pensi si possa avvicinarla invece senza rischiare di fare da ventriloqui e imporre una voce posticcia a chi non la ha?

Bisogna stare molto attenti a non commettere quest’errore, di parlare al posto di un determinato popolo o segmento sociale. In verità noi non diamo voce, io non do voce, perché gli altri già ce l’hanno, semmai possiamo dare un po’ di visibilità. Chi può parlare dei neri sono solo i neri. Chi può parlare dei migranti, o dei gay, sono loro. Le donne: posso parlare di loro, non per loro. Quando mi chiedono un disegno mi preoccupo di cosa possa servire, com’è stato nel caso di Eliana, un’attivista greca arrestata per terrorismo; la mia domanda è: cosa volete che faccia? Cosa può essere utile per voi? Questa è la differenza rispetto a fare un disegno e basta: “l’ho fatto ed è così, questa è la mia opinione, fottiti se non sei d’accordo”. Io disegno su opinioni su cui non tutti sono d’accordo, se mi chiedono un disegno per una campagna, lì devo fare ciò che è meglio per questa campagna, per questo movimento, devo disciplinarmi per non commettere l’errore di parlare per loro: io devo parlare di loro, perché sono loro ad avere la voce e l’autorità per parlare. Questa è una critica attuale in Brasile, dove ci sono uomini che vogliono parlare per il movimento femminista o bianchi che vogliono parlare per il movimento negro. È necessario essere solidali: si può essere solidali, anzi devono esserci uomini che appoggiano il movimento femminista ma non possono stare ‘davanti’, chi deve star davanti sono le donne, così come per gli altri movimenti. La responsabilità dell’artista e dell’intellettuale è offrire la sua solidarietà e parlare di.

Anche Napoli - e in generale il Sud Italia - andrebbe forse decolonizzata, operando a partire da un livello immaginario. Tu hai voluto vedere le Vele qui a Scampia. Perché secondo te all’estero pare che oggi si viva una fascinazione per tutto quello che associa a Napoli l’idea di degrado? Nel tuo caso si tratta di questo o di altro?

Devo fare qui un “mea culpa”. Non sono una persona speciale, non sono un leader, non sono un intellettuale, un illuminato, io sono uno che fa disegnini. Quindi commetto gli stessi errori di un comune cittadino. Quando ho voluto vedere Scampia l’ho fatto esattamente come un turista che va in una favela di Rio, lo confesso. Perché mi ha sempre affascinato la mafia italiana, ho sempre detto che il mio sogno era prendere un caffè con un mafioso! Questo è il mio lato… mondano. Siamo stati a Scampia, abbiamo preso un caffè al bar, abbiamo visto delle persone qui e là… ma quel che è importante è che persone più intelligenti di me come voi mi diano una tirata d’orecchio e mi dicano, come avete fatto: ”Latuff, quando farai questo video mostra anche che qui non c’è solo mafia, c’è il movimento popolare!”. È allora che stai uscendo dalla situazione del turista per avere responsabilità militante, sociale. Per questo era importante per me girare ad esempio quel video, nel campo rom [ndr: Latuff ha girato un video nel campo rom di Scampia a ridosso del quale nello scorso agosto c’è stato un incendio], per mostrare quel che è successo, lasciare un documento. Quando mi fermo, respiro, rifletto, capisco che non c’è un posto dove ci siano solo mafiosi come non c’è una favela di soli delinquenti: secondo il luogo comune, in Brasile ci sono solo delinquenti. Questo non esiste. In ogni favela ce ne saranno, ma saranno sempre la minoranza. È solo che il crimine pare avere un fascino sulle persone, e anche su di me: io sono un ”ordinary people”! Ma sono sempre aperto a essere corretto, trovo importante che questo sia stato fatto. Lo trovo didattico, pedagogico. Ho imparato. Avrei potuto fare un video: “Guardate! sto dove c’è la mafia, è pericoloso!”. No, ho fatto il video sull’area dell’incendio del campo rom, abbiamo partecipato alla manifestazione, e l’ho trovato importante. Il problema del film Gomorra, come Cidade de Deus su una favela di Rio, è la stigmatizzazione. Quando una persona vede per la prima volta Il padrino pensa che in Italia ci siano solo mafiosi. È che Marlon Brando è potente, è toccante! Stiamo parlando di simboli molto potenti e irresistibili. Diverso è il caso di un altro film, Il siciliano, che spiega perfettamente come si è creata la mafia in Sicilia, il coinvolgimento con la chiesa… questo film non è come il padrino, racconta una storia, il fascismo, la guerra, dà una spiegazione. Il padrino invece è affascinante. Quando Marlon Brando ha creato quel personaggio lo ha fatto per caso, con quel cotone per riempire le guance – geniale! - lo ha creato dal nulla e quando pensi alla mafia sai che non ha più niente a che vedere con quello. Il cinema è in grado di produrre segni che non scompaiono mai più. Gomorra non è così famoso come Il padrino ma le persone lo vedono e pensano: “Napoli è la mafia”, vedono Il Padrino e l’Italia è la mafia, vedono Cidade de deus e Rio è favela. È il potere del cinema. Per esempio Procida, con Il postino: le persone ci vanno anche per quel film! Siamo stati su quella spiaggia dove hanno girato la scena in cui parlano tra loro, è stato emozionante, meraviglioso! È il potere dell’immagine e anche il vignettista lavora con questo. Per questo sono sempre attento e aperto alle correzioni di chiunque mi dica “mostra anche questo”.

Cosa vorresti far riapparire se avessi i super-poteri?

Io vorrei far riapparire quei due attori de Il postino, entrambi morti, li vorrei rivedere su quella spiaggia: Philippe Noiret e Massimo Troisi. Forse, se avessi i superpoteri, farei riapparire il cinema italiano di buona qualità che si è perso.

I lavori di Latuff sono tutti disponibili sul suo sito con licenza copyleft




*SARA DE CARLO

Non ama e nemmeno sa scrivere poche righe di cenni autobiografici, l’unica cosa che può dire di sé è che, nata nel ’79 a Castellammare di Stabia e votata com’è alla nostalgia, insegue il destino delle navi dei cantieri della sua città: come quelle attraversano i mari per poi far ritorno al punto di partenza per il rimessaggio, anche lei approda qua e là – ha finora vissuto tra Parigi, Valencia, Istanbul, la Puglia e Napoli – e poi torna sempre nel suo porto di provincia. Andando e tornando insegna (storia e filosofia) e (ahimè meno volte!) disegna.

*CLELIA PINTO

Laureata all’Orientale di Napoli in Lingua e traduzione portoghese, ha oscillato tra le Crónicas di Lobo Antunes - tradotte per la tesi - e i fumetti di Galvão, questi ultimi tradotti per Lavieri (Absurdyum, 2010) e sulla Gazzetta dello Sport (2012). Ha inoltre tradotto Belo Monte. Annuncio di una guerra, di André Vilela D’Elia, collettivo Cinedelia di São Paulo e, sempre con felicità, tante altre cose belle, seppure a volte dolorose. Dal 2004 appena può scappa in Brasile e al quarto viaggio comincia a dubitare si torni mai davvero.

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