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La scomparsa di Radames

di LIDIA DI GIUSEPPE


Giacomo Balla – Dinamismo di un cane a guinzaglio (1912)

Il professore in pensione Lillino Di Pietrantonio usciva tutte le mattine alle sette con il suo cagnolino Radames. I due facevano prima il giro del palazzo, poi prendevano Via XX settembre, scendevano per Corso Cesare Battisti e infine si attestavano al Bar della Posta, per prendere il caffé. O meglio, il Professore prendeva il caffé, mentre a Radames Enzo, il proprietario barista, serviva una ciotola d'acqua fresca fresca. Era, Radames, un volpino-meticcio piccolo e rossastro, leggermente claudicante la zampa posteriore destra e il pelo abbastanza folto, che viveva col Professore da una decina d'anni. Bisogna precisare, però, che non era sempre stato il suo cane: all'inizio, Radames apparteneva a sua sorella Concetta, che lo aveva chiamato così in ossequio all'antica passione verdiana della mamma. Ora, dacché Concetta, la prima canara e gattara del quartiere, nonché zitella - e per questo convivente col fratello, single anche lui -, si era proditoriamente trasferita a Oporto insieme con un paio di signore della sua età (vedove, loro) per godersi al meglio la pensione alla faccia dello Stato italiano, Radames e Lillino si erano ritrovati soli nella grande casa di famiglia e il Professore aveva man mano concesso al cagnolino sempre più spazio, dapprima nella sua vita, poi nel suo cuore, alla sua tavola e infine sul fondo del suo stesso letto.

Dunque, ogni mattina, mentre Radames lambiva la sua ciotola d'acqua, il Professor Lillino sorbiva il suo caffé e faceva quattro chiacchiere con gli amici del bar, avventori abituali come lui. C'era Peppino Caruso, impiegato di banca in pensione, con cui Lillino, ex insegnante di Greco e Latino al Liceo "Gentile", poteva fare discorsi di un certo tipo, in quanto aveva studiato al liceo classico in tempi in cui le lingue classiche le insegnavano ancora bene. Ma, effettivamente, a parte qualche incursione nelle vicende odissiache o iliadiche di un Agamennone o di un Enea, i due preferivano cimentarsi nella risoluzione di questioni linguistiche relative all’italiano: chessò, l'etimologia di qualche parola, oppure l'opportunità di utilizzare vocaboli italiani a fronte di altri stranieri penetrati nel nostro vocabolario, oppure, ancora, la necessità di usare o meno il trattino in espressioni come "fine-settimana". A queste discussioni assistevano con diverse attitudini gli altri habitués mattutini del Bar della Posta. Tonino Guiducci, ex-ferroviere, rimaneva impassibile e distaccato, perché lui, esperto di storia medievale e autore di un saggio storico sulla III crociata (a cui aveva partecipato anche un cavaliere del paese, ricoprendo un ruolo non trascurabile nell'assedio di Acri), non amava perdersi nelle finezze linguistiche, ma apprezzava un linguaggio scientifico, preciso e fatto di cose, non buono soltanto a dilettare l'orecchio. Poi c'erano Gianni Bottari e Michelino Di Pietro, ex-impiegati delle poste che per quarant'anni avevano fatto la pausa a quel bar, e Roberto Ruotolo, il padrone del tabacchino di fronte, che preferiva il bar al bancone del tabacchino medesimo, dove lasciava il figlio Mimmo. Questi ultimi tre, il cui principale interesse era, dopo il caffé, la partita a tressette, ascoltavano ammirati e un po' in soggezione i dotti discorsi dei due amici, in attesa di trovare il quarto per la partita. Ma il Professor Lillino non giocava mai: finite le chiacchiere, riattaccava Radames al guinzaglio e si riavviava verso casa.

Andy Warhol, Portrait of Maurice (1976)

Una mattina, come al solito, il Professore percorreva Corso Cesare Battisti, Radames al fianco, quando si ritrovò di fronte la signora Pizzuto, che, tornando dal mercato con due belle grosse buste di cicoria e patate, non potè evitare di inciampare sul marciapiedi. Siccome erano più o meno alla stessa altezza, la donna, perso l'equilibrio, abbandonate automaticamente le buste, finì per crollare dritta dritta fra le braccia del Professore, prontamente spalancate in un gesto d'aiuto. Il provvidenziale abbraccio evitava una forse rovinosa caduta, ma determinava purtroppo anche il rilascio del guinzaglio di Radames. Dunque, nonappena ebbe risollevato la signora e la ebbe aiutata a racimolare le patate disperse, e subito dopo averne ricevuto i calorosi ringraziamenti, il Professor Lillino si guardò intorno e si avvide con sgomento che il cane non c'era più: "Radamé... Radamé... Radamesseee!...", vieppiù agitato gridava. Ma Radames non rispondeva, non ritornava, non scodinzolava. Radames era perso: questa certezza si consolidò immediatamente nella testa del Professore, già mentre vorticava, secondo il suo passo, prima su e giù per Corso Cesare Battisti, poi lungo le vie parallele e perpendicolari, XX Settembre, XXIV Maggio, Nazario Sauro.E così fu: attraverso le ore e i giorni, del cagnolino si perse ogni traccia. Il mattino dopo la scomparsa, il Professore comunicò l'accaduto agli amici del bar, dove ora si recò diritto diritto, senza soste presso le aiuole, i lampioni, gli angoli delle strade. Enzo il barista si bloccò che aveva già in mano la ciotola dell'acqua, Tonino lo storico rimase muto e basito, Peppino sentenziò che sono cose che capitano e bisogna rassegnarcisi con coraggio, mentre Gianni, Roberto e Michelino saltarono su e si offrirono di aiutare nelle ricerche. Tonino, allora, lanciò l'idea di affiggere per le strade del centro un volantino con la foto di Radames e la promessa di una ricompensa per chi avesse contribuito a ritrovarlo. Si fece così, ma notizie non ne arrivavano e il Professor Lillino, intanto, scivolava giorno dopo giorno in una depressione sempre più cupa. Prese a uscire sempre di meno, e solo per cercare Radames; smise anche di andare a prendere il caffé al Bar della Posta. Qui, di conseguenza, mutarono certi equilibri: non potendo più risolvere questioni linguistiche, Peppino Caruso prese a farsi vedere appena di sfuggita, giusto il tempo del caffé; gli altri, sebbene in quattro, precisi per il tressette, avevano perso la voglia di giocare.

Nel frattempo, in un appartamento del centro non molto lontano dal bar, si gustavano emozioni, si rivolgevano sentimenti diversi: la Signora Carmela Pizzuto, nelle more delle faccende domestiche, non poteva impedire che il suo pensiero corresse al Professor Lillino: com'era stato pronto a sostenerla, galante a restituirle la busta con le patate (dopo averle raccolte una a una da terra, eh!), modesto nel sottrarsi rapidamente ai suoi ringraziamenti... Eh, sì, lei aveva ragione ad averlo sempre ritenuto simpatico, un brav'uomo, sin dai tempi in cui era l'insegnante di suo figlio Pasquale (anche se ogni anno lo rimandava in greco, consigliandogli immancabilmente di cambiare scuola). Anche la buonanima di suo marito Alfredo la pensava così e non si sarebbe certo dispiaciuta se, mettiamo, lei si fosse rifatta una vita con lui. Non che non ce l'avesse, una vita. Anche se non sempre li aveva con sé, poteva godersi i nipoti, piccoli e adolescenti (Alfredo, Clemente e Mirella) abbastanza spesso: la andavano a trovare, lei cucinava per loro, li teneva a pranzo se i genitori dovevano lavorare e così via – le cose che fanno le nonne. Tutti i pomeriggi, poi, con o senza ragazzini, prendeva il caffé con le vicine di casa, Marietta e Rosaria: chiacchieravano un bel pezzo e si scambiavano ricette o consigli di cucito. Per la verità, di recente Rosaria era riuscita a convincere le altre due – Carmela, vedova, e Marietta, signorina – a frequentare con lei e il marito il corso di salsa al Circolo degli Anziani sotto casa, tutti i mercoledì sera. Si organizzavano anche pomeriggi danzanti (di solito, la domenica), che offrivano alle tre signore l'occasione di mettere in pratica oltre che gli insegnamenti ricevuti al corso di ballo, anche le nuove ricette acquisite durante le visite amicali del pomeriggio: un piacevole connubio di pasticceria e danza, insomma. Queste festicciole si protraevano spesso fino a sera, di modo che la Signora Carmela andava a dormire tardi e il lunedì mattina si sentiva sempre un po' stordita, quando cominciava il primo dei suoi turni settimanali alla Caritas parrocchiale: "Abbiamo fatto ancora le ore piccole, eh?!", la provocava bonariamente Don Paolo il parroco, suscitandole un'onda di compiaciuto rimorso attraverso il petto. Così scorreva la vita della Signora Carmela (che, per fare ammenda della débauche domenicale, si era anche iscritta al pellegrinaggio a Lourdes che Don Paolo aveva organizzato per il prossimo ottobre).

Il Professor Lillino, per parte sua, non riusciva a capacitarsi dell'assenza di Radames: che cosa gli era successo? Perché era scappato? Si era allontanato volontariamente? Se sì, perché lo aveva abbandonato anche lui? Che avrebbe fatto, adesso, da solo, se il cagnolino non si ritrovava? Con chi sarebbe uscito la mattina, con chi avrebbe fatto la spesa e la pennichella pomeridiana, mangiato, guardato la televisione, infine dormito alla sera? Il Professore era preda di un'indicibile angoscia esisteziale: se Radames non tornava, vedeva innanzi a sé un futuro cupo di solitudine. La sua casa era diventata meta processionale per amici, vicini e conoscenti, che, dopo aver variamente contribuito alle ricerche del cagnolino, avevano dirottato il loro zelo sulle visite di consolazione, per cui portavano zucchero e caffé, come se fosse morto qualcuno. Veniva anche la Signora Carmela, lei però munita di crostate, torta alle mele, lasagne o pizza. A ogni visita, si fermava un po' di più, a parlare prima dello Scomparso, poi, man mano, di questo e di quello del tempo dei suoi malanni del prete della parrocchia dei suoi figli della sorella del Professore eccetera eccetera. Ora accadde che una mattina, una decina di giorni circa dopo la scomparsa di Radames, mentre il Professore stava a casa a riflettere sulle sue sciagure sprofondato in poltrona, con atteggiamento languido e sconfortato, sentì un gran baccano provenire dalle sue finestre, che davano su corso Corso Amedeo di Savoia. Cos'è cosa non è, il Professore si alza, si affaccia al balcone e vede un gruppo di ragazzini che si ammucchiano ai bordi della strada come se ci fosse qualcosa di strano, di spettacolare da vedere. Ancora più curioso, tende l'orecchio per sentire se mai capisca di che cosa si tratti, quand'ecco che "...esse", "...mes", "...ames", sì sì: "Radames"! Sente pronunciare chiaramente il nome del suo cane: Radames! Il Professore non si tiene più dall'ansia, dalla gioia, dalla curiosità, si toglie le pantofole, si infila le scarpe e si fionda giù– per quanto si possa fiondare giù un uomo di 75 anni, in condizioni psicologiche ed emotive non buone. Accorre sul luogo dove sono i ragazzini, si fa spazio ("via, via, fatemi passare. Radames, Radames" – chiama - "Radames"!) ed ecco che davanti a lui si dispiega, orribile spettacolo, un corpicino... ma no, no, non un corpicino, un povero ammasso di pelo e carne sanguinolenta – uno spettacolo orribile, macabro, disgustoso a vedersi – dove si riconosce un animale di taglia piccola, di pelo rossiccio mediamente lungo. Sarà un gatto?...no, no, non è un gatto, non sembra un gatto: è più grosso, più lungo di un gatto. Purtroppo, ha tutta l'apparenza di un cane: ecco dove era Radames, il suo Radames perduto! Probabilmente ha vagato a lungo per le strade, finché ha cercato di ritornare a casa e, per sua somma sventura, proprio sulla strada di casa, proprio quando ormai era a un passo dal portone paterno, è stato investito da una e poi da più macchine. Eh, sì, perché probabilmente è stato lì tutta la notte: gli automobilisti, dopo il primo disgraziato che lo ha arrotato non lo hanno più visto, anzi, magari se lo avessero visto avrebbero pure potuto portargli soccorso, chissà, magari non era proprio morto, era ancora vivo dopo essere stato colpito la prima volta, forse si sarebbe potuto salvare, forse, chissà... comunque, non lo hanno visto e lo hanno ridotto a quello che è adesso: una povera salma irriconoscibile. È impossibile narrare ora quale fu la disperazione del Professor Lillino di fronte a uno spettacolo del genere. Si gettò in ginocchio lontano da quello che era stato Radames e cominciò a piangere disperato, quasi rotolandosi in terra per il dolore. Intanto, oltre ai ragazzini erano accorsi anche degli adulti, che, resisi conto dell'accaduto, si diedero da fare per aiutare il Professore, per rimetterlo in piedi, riaccompagnarlo a casa, deporlo in poltrona, confortarlo con un po' d'acqua, preparargli un caffé... Di recuperare il corpo di Radames non se ne parlava nemmeno, perché ormai corpo non c'era quasi più, c'era una massa che si confondeva con l'asfalto, quindi – pensava poi tra sé il Professore per intervalla insaniae – non avrebbe potuto neanche seppellirlo, neanche dargli una tomba, poveretto, dove recarsi per piangerlo, il che era ancora peggio, se possibile, del fatto di averlo perso.


Pablo Picasso, Ragazzo con cane (1905)

Il Professore cominciò così a passare un periodo ancora peggiore del precedente. A questo punto e solo a questo punto si decise a chiamare la sorella in Portogallo per darle notizie del suo cagnolino, col cuore tumultuante, che si aspettava una marea di giusti rimproveri. Ma la sorella, vuoi perché lontana, vuoi perché presa dalle sue occupazioni di pensionata Erasmus, vuoi perché si rendeva conto di quale dovesse essere la pena del fratello, non inveì contro di lui, anzi, fu gentile e comprensiva e si offrì anche di ritornare a casa per un breve periodo e di passare un po' di tempo col Professore. Questi, però, fieramente si rifutò, pensando che se fosse tornata a casa avrebbe dovuto passare tutta la giornata con lei, mangiare tutto quello che lei gli avesse cucinato, ascoltare tutte le sue chiacchiere insulse su se stessa, sulle sue amiche, sulla sua vita in Portogallo, e questo sarebbe stato ben più duro che elaborarsi da solo il suo dolore, bello sprofondato nella sua poltrona. Perciò, cortesemente, ma recisamente (come si suol dire) rifiutò. E tuttavia, rimase da solo, da quel giorno in poi passava i pomeriggi a casa e, se prima usciva per guardarsi intorno alla ricerca del cagnolino, adesso non aveva più nessuna ragione di uscire: il cagnolino lo aveva ritrovato eccome! Ritrovato e poi riperduto, quando era passato il camion della nettezza urbana e aveva ripulito la strada. Quindi, ormai non aveva più nessuna ragione di uscire, tanto più che aveva perso anche l'abitudine della passeggiata mattutina e del caffé al Bar della Posta. La sua solitudine suscitò ancora più compassione nei suoi amici e conoscenti, che, se prima avevano cercato di confortarlo per la sua perdita, adesso raddoppiarono le loro attenzioni. Sarebbe ricominciata quindi una teoria di visite, con offerte di caffé, zucchero e quant'altro, se il Professore non avesse anche qui cortesemente ma recisamente rifiutato tanta gentilezza, affermando che voleva rimanere da solo. Solo una persona riuscì ad essere, di quando in quando, ammessa alla sua presenza: la Signora Carmela, che forzò il blocco una mattina, insinuandosi in casa dietro alla giovane Ljudmila, che faceva un paio di volte alla settimana le pulizie in casa del Professore. Ljudmila non se la vide venire alle spalle e, presa alla sprovvista, non riuscì a chiuderla fuori: giocoforza, dovette condurla dal suo datore di lavoro, il quale, pur contrariato, non poté far altro che alzarsi dalla sua poltrona e ricevere urbanamente la Signora, la quale -bisogna dire a suo onore- non era venuta disarmata, bensì recando in dono una teglia delle sue famose lasagne. Siccome erano le undici di mattina, una chiacchiera tira l'altra, un caffé, come sta, come si sente, eh, sì, povero Radames, certo, gli animali non si dimenticano mai, sono come persone di famiglia e non è possibile sostituirli. Prenderne un altro? No, proprio no, La capisco benissimo, mi ricordo che mia cugina Titina aveva un gatto a cui voleva bene come a un figlio, eccetera eccetera... si fece l'una meno un quarto, praticamente ora di pranzo, per cui, una volta che Ljudmila se ne fu andata, apparve naturale a entrambi che la Signora Carmela scaldasse le lasagne a beneficio di entrambi. Questo primo pranzo si rivelò per il Professore di gran conforto, sia perché era effettivamente il primo pasto caldo che consumava dal luttuoso evento, sia perché, effettivamente, a dirla tutta, la solitudine assoluta alla quale si era autocondannato, cominciava a pesargli. Né poteva naturalmente bastare, per dargli la sensazione di un contatto umano, la televisione, che parlare, sì, parlava, ma, ahilui, non rispondeva. E dunque, la Signora Carmela fu bene accetta anche per le chiacchiere "viventi" che poté mettere in campo e che in quel momento parvero al Professore tanto meno spiacevoli, in quanto erano le prime che sentiva da dieci giorni a quella parte. Dal canto suo, la Signora Carmela fu ben lieta di aver potuto passare il suo tempo in compagnia di un uomo così compito, elegante, bene educato, colto come il Professore, uno che addirittura le apriva le porte e la faceva entrare nelle stanze prima di lui, oppure le mesceva continuamente acqua e vino mentre erano a tavola. Beh, sì, bisogna ammetterlo: era stata fortunata, Alfredo era stato un buon marito e un buon padre di famiglia, però questo no, le porte non gliele aveva mai aperte e anche il bicchiere, se badava a rabboccarlo a se stesso, solitamente non teneva granché conto di quello di lei e dunque, se già era stata piacevolmente impressionata dalla cavalleria del Professore all'epoca della cadute delle patate, questa volta fu ancora più impressionata e gratificata da tutte le cortesie che ricevette.

Insomma, di conversazione in conversazione, di pranzo in cena, di cannellone in crostata, vuoi per superare la solitudine, vuoi per godere delle buone maniere, andò a finire che, passato, si capisce, un adeguato periodo di lutto, il Professor Lillino e la Signora Carmela si sposarono, abbandonando l'una le gramaglie vedovili, l'altro il riserbo di scapolo storico e unendo destini e domicili a casa della Signora Carmela. La notizia offrì materia di ghiotta conversazione al paese ("Ueh, ma lo sai che il Professor Di Pietrantonio si sposa?" - "Uh, e con chi?"), sconvolse l'equilibrio del Bar della Posta, già scosso a causa della prematura scomparsa di Radames e del conseguente allontanamento del Professore, e mandò in sollucchero i parenti della Signora Carmela. I figli Roberto e Angela, infatti, si sentivano più tranquilli nel saperla non più sola in casa e, guardando saggiamente in prospettiva, sapevano di aver risolto il problema dei turni a Natale Pasqua vacanze estive e Ferragosto, nonché di poter contare su un baby sitter in più per i loro ragazzi. Il Professor Lillino, infatti, dopo i primi comprensibili sussulti di assestamento, si era adattato perfettamente allo stile di vita della sposa. Dopo essersi trasferito in casa di lei, aveva cominciato, ogni mattina, ad accompagnarla al mercato, dove li si poteva vedere girare tra i banchi, lei davanti, lui un passo indietro con le buste. Inoltre, frequentavano entrambi la parrocchia: Don Paolo gli aveva prontamente offerto un modo per dare il suo contributo, in veste di magazziniere alla Caritas e "ripetitore" (adesso si diceva così) di latino e greco per i ragazzi dell'oratorio. Infine, il Professore stava studiando a sua volta la salsa (sebbene i risultati lasciassero a desiderare) e andava a ballarla con la moglie la domenica pomeriggio. Insomma, la sua vita, da contemplativa e solitaria, era diventata, in un batter di ciglia, attiva e mondana. Ma era anche beata? Questa domanda, il Professore non avea il tempo di porsela, se non in quell'oretta-oretta e mezza, in cui la moglie si prendeva il caffé con le vicine: allora lui, lasciato solo in camera da letto, si stendeva per tentare un pisolino, ma quasi sempre per finire a pensare a Radames e al passato. Ogni tanto, riusciva, magari, anche a leggere, sebbene le serate in poltrona accanto alla lampada avessero ormai ceduto il passo a quelle sul divano non davanti ai telequiz (sui quali in passato il Professore si era tenuto costantemente aggiornato per sostenere la conversazione con Peppino Caruso), bensì davanti ai reality shows di cucina, di cui Carmela era appassionata, in qualità di cuoca provetta. Dopo cena, c'era sempre qualche telefilm ricco di buoni sentimenti, amori contrastati, misteriosi omicidi, preti o carabinieri. La domenica e anche qualche giorno della settimana, poi, passavano i nipotini, talvolta con i genitori, per godersi il nuovo nonno e farsi tradurre qualche versione o correggere qualche tema. Al Bar della Posta il Professor Lillino si affacciava, sì, ma sempre insieme con Carmela, di ritorno dal mercato: una breve sosta al bancone, contegnosa per la presenza della Signora, giusto un caffé veloce e un rapido saluto a Enzo e agli amici, la nostalgia negli occhi. Così, passarono più o meno sei mesi.

Pierre-Auguste Renoir, Giovane donna in un giardino (1916 circa)

Un giorno, però, capitò che Angela, dovendo andare a riprendere la figlia e i nipoti a casa di un'amica che viveva in una villa in campagna, si trovasse bloccata in ufficio per un problema di lavoro. Come si fa? Chi ci va a prendere i ragazzi? Finì che la delicata incombenza ricadde sui nonni. La signora Carmela, infatti, possedeva una Panda appartenuta al primo marito, che, alla bisogna, guidava spavaldamente, seppur per piccoli tragitti. Si stava dunque per lanciare volenterosamente al recupero dei nipoti in campagna, senza disturbare il marito, che a quell'ora stava facendo la consueta pennichella. Ma, proprio mentre imboccava la porta, se lo vide comparire davanti, sguardo assonnato interrogativo. Rispondeva la moglie: " Vado a riprendere i ragazzi da un'amica loro, tu torna a dormire". Ma il Professore insisteva per accompagnarla, a letto non ci voleva tornare, e finì che si avviarono insieme. Alla villa si accedeva dalla statale, prima attraverso un lungo viale bordato di ulivi alternati a cipressi, intricati di rami e luminosi d'argento i primi, slanciati cupi tristi gli ultimi, quasi si sentissero in dovere di contrapporre alla pia e festosa accoglienza degli altri un loro mesto ammonimento. Ma questa, naturalmente, è solo un'immagine che forse si formòa posteriori nella fantasia sovreccitatadel Professore. Tale impressione dovette senz'altro corroborarsi dinanzi al cancello della casa: questo si trovava su una viuzza laterale che man mano si dipanava tra oleandri fioriti, un antico muretto di sassi e i latrati di cani domestici, fedeli custodi della famiglia, tra i quali spiccava, per entusiasmo e vigore, Radames. Radames... Radames! Il Professor Lillino non credeva alle sue orecchie, ai suoi occhi, al suo cuore impazzito: tra i cagnolini che gli venivano incontro davanti alla macchina, tra un pastore maremmano e un piccolo meticcio tutto nero, quello col pelo rosso e folto, la voce squillante e lo sguardo sagace, era proprio Radames! E infatti corse verso di lui, gli saltò in braccio, guaì, uggiolò, gli leccò la faccia in un parossismo di gioia che annichilì di felicità il Professore: Radames era tornato dal mondo dei morti, la vita poteva ricominciare!

Questi fatti - inclusa la risoluzione del mistero: erano stati i nipoti di Carmela a rapire il cagnolino, per propiziare l'unione della nonna (che dicevano non ne sapesse assolutamente niente!) con il Professore - furono per molto tempo oggetto di doviziosi racconti epici, narrati dal Professor Lillino al Bar della Posta tra una partita di tressette e l'altra: persa defnitivamente, dopo i primi mesi da coniugato, l'abitudine alla lettura accanita, egli aveva ora cominciato a giocare a carte. Intorno, aveva gli amici di sempre, che se lo gardavano beati tra un lisciaebusso e un buongioco. Accanto, un poco dietro la sua sedia, il fedele amato Radames, placidamente accucciato di fronte alla sua ciotola d'acqua, e la devota consorte Carmela, seduta su una sedia, il gomito appoggiato a un tavolino con una cedrata a portata di mano, che assisteva alle partite perché il marito diceva che gli portava fortuna, ma intanto pensava ai giorni trascorsi felicemente vedova, in chiacchiere con le vicine, ormai perduti per sempre.


*LIDIA DI GIUSEPPE

È nata e vive a Roma, dove insegna Latino e Greco al Convitto Nazionale "Vittorio Emanuele II". Filologa classica, studia il teatro antico e Platone.

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