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Chi ha paura degli insetti?

di ALESSIA CAPASSO



© Entomologischer Verein Krefeld

Combattere insetti e piante infestanti è stata la missione lunga quasi un secolo dei pesticidi sintetici. A rimetterci è stato però il suolo stesso, la biodiversità e la salute degli esseri umani. Quella dei pesticidi è una storia di guerra, business e inquinamento. Soprattutto è l'emblema di come l'uomo sia disposto a valicare i limiti della natura, investendosi in battaglie in modo tale da sovrastare le ragioni per cui le stesse sono nate. Per capire e sensibilizzare sui danni provocati dai prodotti chimici sui campi è stato necessario ingaggiare come testimonial le api, divenute martiri delle sostanze spruzzate senza criterio sui campi di tutto il mondo. Nonostante la potenza simbolica delle regine degli alveari, non è detto che l'Unione europea si decida finalmente ad abbandonare in modo progressivo questi inquinanti. La vera tragedia dei pesticidi chimici consta della loro potenza distruttrice. La capacità di proteggere le piante è stata soppiantata da quella di eliminare. A farne le spese sono i suoli contaminati, le acque inquinate e la biodiversità che circonda le piantagioni.


Buoni propositi

L'obiettivo di tagliare l'uso dei pesticidi del 50% sui campi del vecchio continente è stato delineato nella strategia Farm to fork - Dal campo alla tavola, proposta dalla Commissione europea nel 2020. i dettagli sono contenuti nella proposta di regolamento nota come Sur. Secondo scienziati e funzionari europei, la riduzione di questi prodotti rappresenta uno dei fattori in grado di trasformare in modo radicale le modalità di produzione di cibi, rendendola più sostenibile e salutare, se accompagnata in parallelo dalla diminuzione di fertilizzanti chimici e da un aumento del 25% delle coltivazioni biologiche. Ambizioni elevate che stanno riscontrando progressivamente l'opposizione di aziende agricole, Stati membri e soprattutto dei colossi dell'agrochimica.


In nome della riproduttività

Ridottosi l'impatto dell'ondata delle preoccupazioni ambientaliste, incastrati tra pandemia e guerra in Ucraina, molti Paesi intendono appigliarsi alla mitologia della "sicurezza alimentare" per sfuggire agli obiettivi salva-clima fissati dai funzionari di Bruxelles. Mentre gli scienziati sono concordi sulla necessità di ridurre l'uso di sostanze chimiche, onde evitare una totale perdita di fertilità e danni irreparabili agli ecosistemi, le principali confederazioni agricole europee stanno spingendo i Paesi di riferimento e numerosi eurodeputati a lamentare costi troppi elevati e rese troppo basse per poter realizzare in concreto la svolta agricola. Il grande lamento urla grossomodo così: "Senza chimica la produttività sarà ridotta e non saremo in grado di sfamare le popolazioni globali, con costi del cibo che saliranno alle stelle". In nome di una fantomatica sfida ad insetti, parassiti ed erbacce, stiamo consegnando suoli, acque e biodiversità a un declino irreversibile. Cosa ci resterà da produrre arrivati al punto di non ritorno?



© Arun Roisri

Suoli drogati

I pesticidi sintetici e i fertilizzanti minerali hanno un importante punto di contatto in comune: sono figli della guerra. Già nei primi anni '60 la scrittrice Rachel Carson nel suo Primavera silenziosa ricordava le radici belliche dei pesticidi chimici. Studiati sin dalla fine del XIX secolo, hanno ottenuto una spinta decisiva dall'austriaco Fritz Haber, protagonista delle ricerche sul processo di fissazione dell’azoto atmosferico, che avrebbero poi dato vita ai concimi chimici azotati, ma anche agli esplosivi. Incaricato di sviluppare gas chimici irritanti, in grado di contaminare mortalmente i soldati nelle trincee nemiche, Haber produsse diverse armi a base di cloro. Scaricato a tonnellate sulla piccola cittadina belga di Ypres, il cloro inondò le vie respiratorie delle truppe britanniche, francesi e canadesi, con conseguenze mortali. Gli studi del chimico tedesco sono stati poi alla base della formulazione dei pesticidi a base di cloro, di cui il più noto è il Ddt, utilizzato ampiamente per combattere la malaria, come avvenne in Sardegna, ma rivelatasi al contempo una delle sostanze più pericolose create dall'uomo.


Miracoli al bando

Nell'anno della pubblicazione del libro della Carlson (1962) questo insetticida, già sospettato di essere potenzialmente dannoso, veniva commercializzato come rimedio miracoloso. L'anno successivo la sua produzione negli Stati Uniti avrebbe raggiunto le 82mila tonnellate. Una benedizione per le aziende dell'agrochimica, che nel tempo sarebbero diventate veri e propri giganti industriali, come la statunitense Monsanto, nel 2018 acquisita dalla concorrente tedesca Bayer. La Carlson fu una delle prime a denunciare apertamente i danni del Ddt, citando ad esempio come dopo lo spargimento dell'insetticida su 11mila ettari di terreno, numerosi uccelli vennero trovati morti in seguito all'ingestione di vermi e insetti intossicati. Si sarebbe dovuto aspettare la fine degli anni '70 per una messa al bando del prodotto, nonostante già da oltre un decennio si sospettasse fosse pericoloso per l'uomo, oltre che essere altamente tossico per le zanzare.


Presunti colpevoli

Questa presunzione di innocenza viene tuttora applicata a numerose sostanze, che continuano a restare in commercio per anni nonostante nel frattempo si accumulino prove del loro potenziale cancerogeno. Pensiamo ad esempio al glifosato. Dopo la valutazione dell'Associazione per la lotta al cancro, che lo ha classificato come "potenzialmente cancerogeno", la Commissione europea ha richiesto all'Autorità per la sicurezza alimentare (Efsa) di effettuare una valutazione del suo impatto sulla salute degli esseri umani. Inondati di ricerche e commenti, come mai avvenuto in precedenza, i funzionari dell'organizzazione con sede a Parma hanno richiesto un ulteriore anno per pubblicare le conclusioni sull'erbicida, che nel dicembre del 2022 ha così ottenuto un'estensione di un anno per restare in commercio oltre la scadenza prevista per la sua autorizzazione. Le valutazioni scientifiche, dal ruolo di "prova" stanno assumendo quello di "spaventapasseri", dietro cui le autorità politiche si nascondono per non assumersi responsabilità decisionali che impatterebbero affari da miliardi di euro. Consta di circa 600 milioni di dollari il fatturato dichiarato della sola Crop Science, la costola della Bayer che si occupa di agrofarmaci. Dopo l'acquisizione della Monsanto, gli interessi principali connessi al glifosato fanno adesso capo alla Bayer.



© Cristian Manieri

L'ultimo Roundup

La multinazionale statunitense è stata citata in giudizio da numerosi agricoltori a causa delle intossicazioni e dei tumori provocati dall'erbicida contenuto nel diserbante Roundup, come racconta il documentario Into the weeds. In molti casi i giudici stanno accordando rimborsi da decine di milioni di euro, come quello in favore di Edwin Hardeman, cui è stato diagnosticato il linfoma non-Hodgkin, un tumore maligno del sistema linfatico, che per trent'anni aveva cosparso i campi con il Roundup. Le benedette prove, eccole. Ci sono già. Il mondo scientifico invoca sempre più spesso il dovere di basare le scelte decisionali in base al "principio di precauzione", visto che arrivare alla certezza scientifica è estremamente complesso e costoso. Nel corso degli anni necessari per raggiungere un numero sufficiente di studi, si accumulano migliaia di vittime. Senza contare che le risorse per le ricerche provengono sempre più spesso dai privati, da quelle stesse aziende i cui prodotti andrebbero banditi.


Politica miope

Una larga parte della politica europea preferisce invece strumentalizzare questa attesa, come quando ha chiesto pochi mesi fa un'ennesima valutazione di impatto sui pesticidi prima di varare un nuovo regolamento sull'uso sostenibile delle sostanze chimiche, il cosiddetto Sur. Il colpo fatale ha scelto di infliggerlo il Partito popolare europeo, che nella sua ultima riunione politica in gennaio ha apertamente bocciato il regolamento Sur, come pure la legge sul ripristino della Natura. Nel Parlamento europeo voteranno quindi contro la proposta di legge. Questa scelta aiuterà a far slittare o saltare del tutto il processo normativo. E la prossima legislatura europea, per la quale si teme un'esplosione dei sovranisti, potrebbe chiudere definitivamente le porte a questi piani.


Flagelli

In Primavera silenziosa l'autrice riporta una documentazione scientificamente accurata che mostra i molteplici danni provocati dai pesticidi chimici, tra contaminazioni, avvelenamenti, malformazioni e decessi. Gli agricoltori hanno sempre fatto ricorso a sostanze naturali capaci di proteggere le piante, in particolare utilizzando rame, zolfo e tabacco, in grado di eliminare quegli organismi nocivi capaci di danneggiare o interferire con la produzione. Queste sostanze possono essere applicate prima o dopo il raccolto, in tal caso per proteggere i frutti dal deterioramento durante la conservazione e il trasporto. Alla grande famiglia dei pesticidi appartengono sostanze in grado di lottare ad esempio contro batteri, erbacce, alghe, talpe, insetti, lumache e roditori. Da qui l’etimologia della parola, derivante dal latino "pestis" che indica un flagello o una malattia contagiosa, mentre il suffisso "-cida" indica la capacità di sterminare tali pesti. Per ammorbidire il concetto, l'industria preferisce bandire questa espressione, sinonimo ormai di negatività, preferendole altre diciture come prodotti fitosanitari, fitofarmaci o agrofarmaci. Un'edulcorazione puramente linguistica. Da debellatori di malattie, i pesticidi chimici sono diventati essi stessi un flagello, con applicazioni ripetute, preventive e non mirate. Il loro uso è tale in termini di quantità e abitudine all'utilizzo che le piante risultano ormai dopate da questi prodotti.


Xylella docet

Insetti e parassiti hanno sviluppato nel frattempo la capacità di resistere a tali sostanze, spesso applicate senza sortire effetti. A questo si aggiunga come le coltivazioni intensive e monoculturali facilitino in realtà il propagarsi di malattie, altrimenti facilmente contenibili. Si pensi all'espansione repentina della Xylella fastidiosa in un contesto come quello salentino caratterizzato da un numero impressionante di ulivi senza soluzione di continuità tra i vari campi. Un paesaggio suggestivo, "monumentale" come è stato definito dalle istituzioni locali, che ha però facilitato la diffusione della malattia per il suo elevato grado di omogeneità.



© Royal Project Foundation

Api disorientate

Come accennato, le api sono state tra quelle che ne hanno fatto le spese e che hanno suonato il campanello d'allarme, visto il loro ruolo fondamentale per l'impollinazione e per tutto il ciclo produttivo degli alimenti. Perdita di memoria e forme di disorientamento sono alcune delle conseguenze registrate su questi insetti, così come su altri impollinatori. Tra gli imputati figura una categoria specifica, quella dei neonicotinoidi. Per alcune sostanze di questa tipologia l'Unione europea nel 2018 ha ristretto il loro utilizzo alle sole piantagioni in serra. Ciò nonostante alcuni Stati hanno provveduto ad applicare delle eccezioni in quei settori per i quali è stato reputato indispensabile continuare la loro applicazione all'aperto. La Corte di giustizia dell'Ue ha sanzionato questo comportamento, valutato come un vero e proprio abuso, dando ragione ad un apicoltore che si era opposto ai coltivatori di barbabietola da zucchero, che in Belgio avevano approfittato delle esenzioni per continuare ad applicare ai semi le sostanze a base di due neonicotinoidi soggetti a restrizioni: il thiamethoxam e il clothianidin. A difendere il loro utilizzo si sono posizionati alcuni Stati, come Francia ed Ungheria, nonché lo stesso Belgio, insieme ai coltivatori di barbabietola da zucchero e ai produttori dei pesticidi. Queste alleanze non sono rare.


Lost in transition

La dipendenza degli agricoltori da questi prodotti è ormai tale da reputare impensabile poterne fare a meno. La minaccia di perdere il raccolto senza protezioni o paracadute di sorta li pone sotto minacce perenni. Alcune alternative ai pesticidi di sintesi sono note, come la lotta integrata tra insetti o alcuni pesticidi biologici, che necessiterebbero però di maggiori studi e investimenti di gran lunga superiori. Le pressioni economiche sono però enormi e impediscono di guidare la transizione. Con la guerra in Ucraina la Bayer ha incrementato le vendite di glifosato, che a livello globale sono aumentate del 60%. Più gli agricoltori temono malattie, catastrofi climatiche e mercati speculatori, più sono esposti al ricatto di utilizzare queste sostanze così come altre in preparazione, come gli organismi geneticamente modificati di nuova generazione o le sementi che incorporano i pesticidi. La questione principale è il tempo. Una conversione troppo repentina al biologico rischia di determinare un effetto domino disastroso, come avvenuto lo scorso anno in Sri Lanka, dove la scelta di una rapidissima trasformazione agricola ha abbassato drasticamente la quantità di cibo e le rendite dei piccoli contadini. L'intersezione con altri fattori, come il crollo del turismo a causa della pandemia, ha generato proteste in tutto il Paese, tali da far cadere il governo.


Vicini di campo

I processi, seppur lenti, necessitano però di essere avviati, come ha testimoniato a gennaio davanti alle commissioni Agricoltura e Ambiente del Parlamento europeo l'agricoltore francese Jean-Bertrand Lozie. Nell'arco di venti anni ha dichiarato di essere riuscito a ridurre dell'80% l'uso di pesticidi. Pur non virando del tutto al biologico, ha ridotto in maniera radicale l'applicazione della chimica ai terreni, con perdite di resa di "appena il 10%". Un processo possibile grazie alla guida di agronomi con idee alternative e non sottomessi alle pressioni dei giganti dell'agrochimica e a dinamiche di gruppo condivise con altri coltivatori. "Ho ottenuto un cambio di paesaggio che oggi conta almeno sette colture diverse, così la biodiversità dei campi è più varia e soprattutto è migliorata la qualità della mia vita". Nel corso di una tesissima riunione, che ha visto contrapposti scienziati e ambientalisti ad eurodeputati difensori dello status quo, Lozier ci aveva tenuto ad evidenziare soprattutto quest'ultimo aspetto: "Organizzo meglio l'attività lavorativa, ho ottenuto l'approvazione da parte delle madri di famiglia che abitano nei dintorni e mi sento coerente rispetto ai miei valori". Un modo diverso di proteggere le piante da cui ci guadagnano agricoltori, ambiente e vicini di casa.





*ALESSIA CAPASSO

Era destinata alle arringhe in tribunale, ma si è inventata fotografa e giornalista. Concepita a Lampedusa, partenopea di nascita, romana di adozione. Vive in bilico tra Napoli e Bruxelles. Scrive principalmente di agricoltura e alimentazione per AgriFood Today, portale del quotidiano Today.it. Ha contribuito a fondare Zetaesse.


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