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Carte d'imbarco #3

di SARA DE CARLO



LA STORIA DEI MIEI DENTI

Valeria Luiselli (traduzione di Elisa Tramontin)

La Nuova frontiera, Roma 2016.

Zetaesse. Carte d’imbarco. Sara De Carlo, LA STORIA DEI MIEI DENTI, Valeria Luiselli

“La mia collezione era sparita, completamente”. Può accadere così, che nel bel mezzo di un romanzo qualcosa scompaia e che quel qualcosa sia alquanto bislacco, come una collezione di denti di Marilyn Monroe. Collezione che Autostrada, al secolo Gustavo Sánchez Sánchez, è riuscito ad accalappiarsi tra gli andirivieni delle aste “allegoriche” di cui è banditore e inventore, tra i suoi rocamboleschi incontri e le memorie di personaggi prestati da una realtà deforme e decontestualizzata all’immaginazione (fanno capolino tra le righe Julio Cortázar, Rubén Darío, Hochimin, Gaio Svetonio Tranquillo, Miguel Sánchez Foucault, Marcello Sánchez Proust…).

Può accadere che un libro insegni le conseguenze positive della sparizione, l’etica e l’arte dolorosa ma necessaria del lasciar andare. Così il protagonista Autostrada: “In un primo momento provai una sorta di sollievo, poi malinconia, ma più profonda, insieme a una specie di inedita leggerezza. Pensai che forse è così che si sentono i fantasmi”.

E può anche accadere che un libro svolga un’operazione di smascheramento e faccia intravedere le negatività possibili dello stesso concetto di sparizione: è infatti un’opera, questa, all’origine scritta a puntate, per essere letta ad alta voce, destinata agli operai di una fabbrica di succhi di frutta messicana (ah qua c’è tanto di quel Messico dei cani neri che “dormono senza sognare” di cui scriveva Boris Vian!); è un testo dalla prosa elegante e schietta, che nasce da un dialogo serrato con quegli stessi operai che, con la loro concretezza, la loro voce e la loro fatica, rappresentano il contraltare più potente di quella sparizione perversa che è il processo di astrazione prodotto dallo stramaledetto capitale.


*SARA DE CARLO

Non ama e nemmeno sa scrivere poche righe di cenni autobiografici, l’unica cosa che può dire di sé è che, nata nel ’79 a Castellammare di Stabia e votata com’è alla nostalgia, insegue il destino delle navi dei cantieri della sua città: come quelle attraversano i mari per poi far ritorno al punto di partenza per il rimessaggio, anche lei approda qua e là – ha finora vissuto tra Parigi, Valencia, Istanbul, la Puglia e Napoli – e poi torna sempre nel suo porto di provincia. Andando e tornando insegna (storia e filosofia) e (ahimè meno volte!) disegna.

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