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© Rosa Menkman, Blinx -1

LAPSUS

“Sto lavorando duro per preparare il mio prossimo errore.” 
Bertolt Brecht, Storie del Signor Keuner, 1948

 

Nel Medioevo si credeva che Titivillus, un diavolo di grado minore, lavorasse per indurre in errore i copisti. Col tempo gli fu attribuita la qualifica di "diavolo patrono degli scribi", perché forniva una comoda scusa per gli errori che facilmente capitavano nella trascrizione dei manoscritti. Titivillus era anche un raccoglitore puntuale delle parole mal pronunciate, borbottate oppure omesse durante le funzioni religiose. Gli errori si sarebbero poi sommati alle colpe dei peccatori. Quanti sbagli compiamo involontariamente ogni giorno? Quanto rivelano di noi le nostre sviste?
Zetaesse lancia la nuova call dedicata ai #lapsus, un viaggio nel regno degli inciampi e degli incontri inattesi. La deadline è il 31 gennaio.

 

Chi fosse interessato e desiderasse proporre un articolo, materiale fotografico o video, illustrazioni  può farlo scrivendo a redazione@zetaesse.org o caricando il file sul modulo in coda alla pagina.

Gli articoli possono essere proposti nei più comuni formati di elaborazione testi (.docx, .odt, .pages). I contributi scritti non prevedono un limite minimo né un limite massimo, ma si consiglia di non eccedere le 2000 parole. Zetaesse non è una rivista accademica e se ne distanzia anche nella struttura formale dei suoi articoli: al corpo note si privilegiano link diretti e  contenuti multimediali. Per quanto riguarda il materiale visivo, è necessario che i file siano inoltrati a risoluzione minima di 72 dpi.

Nel presentare i corentributi, i singoli autori o gruppi di autori sono invitati a inserire le seguenti informazioni:

  • Titolo sintetico e rilevante per i contenuti del contributo

  • Nome dell’autore o degli autori accompagnato da una breve biografia di presentazione.

  • Recapito email del primo autore

  • Abstract (circa 100 parole).


GLOSSARIO

AI; dimenticare; errore; giudizio; glitch; inciampo; inconscio; indizio; lingua; mancare; pulsione; refuso; scoprire; tradire.

AI [acronimo. dell’ingl. artificial intelligence]. – Riproduzione parziale dell’attività intellettuale propria dell’uomo (con partic. riguardo ai processi di apprendimento, di riconoscimento, di scelta) realizzata o attraverso l’elaborazione di modelli ideali, o, concretamente, con la messa a punto di macchine che utilizzano per lo più a tale fine elaboratori elettronici. 

dimenticare v. tr. [lat. tardo dementicare, der. di mens mentis «mente»] – tr. a. Perdere, anche temporaneamente, la memoria di una cosa, non ricordare: d. il passato, il nome di una persona, l’indirizzo, il numero telefonico, un appuntamento, ecc.. D. una persona, levarle l’affetto, non darsene più pensiero, trascurarla; nel passivo, è dimenticato da tutti, è lasciato in disparte, nessuno ne ha cura. Anche di cose: d. la scuola, i propri doveri, trascurarli. b. Passare sopra a qualche cosa, far sì che il ricordo, spec. di cosa udita o di torto ricevuto, non pesi attivamente nel nostro spirito: dimentica quello che t’ho detto; ho sofferto molto per colpa sua, ma ho dimenticato tutto; quindi, d. le offese, non serbarne rancore, perdonarle.

 

errore s. m. [dal lat. error -oris, der. di errare «vagare; sbagliare»]. – 1. letter. L’andar vagando, peregrinazione, vagabondaggio: gli e. di Ulisse; il suo corpo è franto dall’error lungo (Pascoli). 2. Lo sviarsi, l’uscire dalla via retta, spec. in senso fig., l’atto e l’effetto di allontanarsi, col pensiero o con l’azione o altrimenti, dal bene, dal vero, dal conveniente. In partic.: a. Deviazione morale. b. Fallo, colpa, peccato: scontare i proprî e.; riparare a un e.; fu un e. di gioventù. c. Credenza errata in materia di fede religiosa: vivere, persistere nell’e. d. Opinione, affermazione erronea, giudizio contrario al vero: cadere, essere tratto in e.; indurre in e.; confutare un e.; e. di ragionamento. e. poet. Illusione, capacità di illudersi: Ed io seggo e mi lagno Del giovanile error che m’abbandona (Leopardi). f. Quanto contrasta con le regole di una tecnica o scienza, o manca di correttezza, di esattezza: e. di grammatica, di ortografia, di pronuncia; e. di prospettiva; fare un e. di calcolo. Con sign. più concreto: una pagina piena di errori di stampa; segnare, correggere gli e. di un compito; versione con parecchi e.; e. gravi, leggeri, madornali; è stato un e. di distrazione. g. Azione inopportuna, svantaggiosa: Appio, lasciando il popolo e accostandosi a’ nobili, fece un e. evidentissimo (Machiavelli). 3. Con accezioni specifiche: a. In filologia e critica testuale, qualsiasi tipo di deviazione dalla lezione del manoscritto originale. b. Nel calcolo numerico, la differenza (positiva o negativa) tra il valore calcolato di un numero e il suo valore esatto, che si riscontra quando ci si limiti a un certo grado di approssimazione ritenuto soddisfacente per un determinato fine.

 

giudizio s. m. [dal lat. iudicium, der. di iudex -dĭcis «giudice»]. – 1. a. L’attività logica del giudice, consistente nell’applicare le norme di legge al fatto da lui accertato. In senso più ampio, e più comune, tutta l’attività che si svolge dinanzi all’autorità giudiziaria per giungere al pronunziato finale (cioè al giudizio in senso stretto), sinon. quindi di processo; in tale sign. il termine è usato anche per indicare quelle forme processuali che normalmente non si concludono con un giudizio: iniziare, intentare un g.; sospendere il g.; dire, testimoniare in g.; difendere in giudizio. Con uso estens., e più concr., tribunale, autorità giudiziaria: citare, comparire, presentarsi in g. b. Per analogia, g. finale, dell’anima davanti al tribunale di Dio subito dopo la morte, variamente concepito secondo le varie religioni e credenze; g. Universale; in frasi fig.: pare il giorno del g., quando piova o tuoni fortemente o vi sia grande baccano e confusione. c. La sentenza, il verdetto dei giudici: emettere g. di assoluzione, di condanna; g. giusto, severo, inappellabile. d. Per estens., sentenza, decisione, anche non di giudici: dare g. favorevole, sfavorevole; approvare, promuovere, dichiarare vincitore con g. unanime. Nel linguaggio scolastico, il parere che l’insegnante scrive sul compito, su apposito verbale o registro. 2. a. In filosofia, funzione logica che connette, affermativamente o negativamente, un soggetto con un predicato: g. analitico, a priori, g. empirico, g. estetico. b. Nel linguaggio com., qualsiasi affermazione, la quale esprima un’opinione sulle qualità, il valore, il merito di persona o cosa: difficilmente si può fare giudicio del futuro (Guicciardini); pronunciare, formulare un g.; g. precipitoso, approssimativo, obiettivo, parziale; sfidare il g. della gente; il g. della storia, il giudizio intorno a un fatto storico, quale si può ricavare dalla considerazione degli eventi che da esso hanno avuto origine 3. La facoltà stessa della mente che giudica e l’attitudine a ben giudicare; criterio, discernimento: lascio al tuo g. stabilire se convenga o no; età del g., quella in cui si acquista la capacità di discernere il bene dal male; denti del g.. Fam., senno, riflessione, prudenza: uomo di g., senza g.; ragazzo di poco g.; ci vuole g.; abbi più g. un’altra volta.

 

glitch – In elettronica, termine onomatopeico che indica genericamente i disturbi di breve durata che si manifestano in un impulso teletrasmesso, deformandone la forma d’onda.

 

inciampo s. m. [der. di inciampare]. – 1. Oggetto, ostacolo in cui s’inciampa o su cui c’è pericolo d’inciampare: levare, togliere un i.; non vide l’i. e vi urtò contro; più astrattamente, fare i., essere d’ostacolo al cammino: buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano i. nel sentiero (Manzoni). 2. In senso fig., qualsiasi ostacolo che impedisca, intralci o ritardi il movimento, l’azione, l’esecuzione, la realizzazione di qualche cosa e, con valore astratto, qualsiasi cagione d’arresto, di ritardo, o l’arresto, il ritardo stesso: mettere inciampi; essere d’i. a qualcuno; proseguire senza inciampi; la pratica, le trattative hanno trovato un inciampo.

 

inconscio agg. e s. m. [dal lat. tardo inconscius, comp. di in- e conscius «conscio»]. – 1. agg. Di fenomeno interno (impulso, inclinazione, istinto, atto, ecc.) che non giunge a livello della coscienza; o, più genericam., di processo psichico di cui il soggetto non è consapevole. 2. s. m. a. In psicologia, la sfera dell’attività psichica che non raggiunge il livello della coscienza. b. In psicanalisi, sistema dell’apparato psichico formato da contenuti rimossi, investiti da forti cariche pulsionali e regolati da meccanismi specifici. c. Inconscio collettivo, nella psicologia analitica di C. G. Jung (1875-1961), lo strato o livello della psiche dove sono contenute le tracce delle esperienze primordiali dell’umanità, che tornano a manifestarsi attraverso immagini ricorrenti (archetipi) nei miti, nelle creazioni artistiche e nei sogni. 

 

indizio s. m. [dal lat. indicium, der. di index -dĭcis «indice»]. – 1. Segno, cosa astratta o concreta che con la sua presenza può indicare l’esistenza di un’altra; fatto certo che lascia prevedere o dedurre con qualche fondatezza un altro fatto non ancora avvenuto o non conosciuto direttamente: desumere da chiari i.; la calma improvvisa è talvolta i. di burrasca; ant., dare (o fare) i. di sé, farsi riconoscere attraverso segni esteriori. Con partic. riguardo alla materia della prova penale, fatto, circostanza che fa presumere colpevole una determinata persona: fu arrestato in base a gravi i.; tutti gli i. sono contro l’imputato. 2. letter. ant. a. Indicazione: Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio Dà noi per che venir possiam più tosto Là dove purgatorio ha dritto inizio (Dante). b. Delazione, accusa: con falso e scelerato indizio di tradigion ... Ei fu da’ Greci indegnamente occiso (Caro).

 

lingua s. f. [lat. lĭngua, lat. ant. dingua]. – 1. a. Organo della cavità orale dei vertebrati, con funzione tattile e gustativa, che ha anche parte importante nel processo della masticazione e della deglutizione e, nell’uomo, nell’articolazione del linguaggio. Mordersi la l., incidentalmente oppure volontariamente per frenare il riso, per impedirsi di pronunciare qualche parola che sale spontanea alle labbra, o accorgendosi di aver detto qualcosa che sarebbe stato meglio tacere. Tagliare, mozzare la l. a qualcuno, come forma di antico supplizio o di pena barbarica (e in frasi fig.: a chi non ha saputo mantenere un segreto). b. Locuzioni riferite alla lingua come organo essenziale della parola: fig., gli si è sciolta la l. o ha sciolto la l., di chi, avendo incominciato a discorrere, non la smette più; avere la l. lunga; non avere peli sulla l., parlare con estrema franchezza; avere sulla punta della l., di nome o parola che si conosce e si è sul punto di dire ma che sul momento non si riesce a ricordare. Avere una l. tagliente, velenosa, una l. di vipera, una l. che taglia e cuce. 2. a. Sistema di suoni articolati distintivi e significanti (fonemi), di elementi lessicali e di forme grammaticali, accettato e usato da una comunità etnica, politica o culturale come mezzo di comunicazione con caratteri tali da costituire un organismo storicamente determinato, con proprie leggi fonetiche, morfologiche e sintattiche: l. italiana, inglese, tedesca, araba, turca, cinese, ecc.; le l. indoeuropee, germaniche, slave; l. creole. È detta l. morta (in contrapp. a l. viva o vivente) una lingua che, o non è più usata da nessuno o non è parlata in una comunità linguistica organica né trasmessa di padre in figlio. b. Usato assol., con riferimento generico: la grammatica, la sintassi di una l.; il carattere (e ormai ant. l’indole, il genio) di una l.; la storia, l’evoluzione della l.; la l. si arricchisce, si guasta, si corrompe, s’imbarbarisce.

 

mancare v. intr. e tr. – 1. intr. (aus. essere) a. Essere in quantità o in numero insufficiente, essere meno di quanto sarebbe necessario o conveniente o desiderabile; o non esserci affatto, di cosa che invece dovrebbe esserci; gli manca una (o qualche) rotella, fam. scherz., di persona non del tutto assennata; non gli manca nulla per essere felice. In frasi negative (per alludere a cosa che c’è invece con qualche abbondanza): non gli manca il tempo, l’ingegno, il denaro; non si fa mancare nulla, di persona che si tratta lautamente. b. Negli esempî che precedono indica, per lo più, una deficienza che si considera permanente o prolungata nel tempo, mentre, in altri casi, indica il determinarsi improvviso di tale deficienza, col sign. di venir meno, diminuire, scemare o scomparire del tutto (e può essere sostituito dalla locuz. venire a mancare); anche in senso fig., di chi si trova inaspettatamente in una situazione insostenibile. c. Di persona, essere assente, essere lontano da un luogo in cui dovrebbe o potrebbe essere; Quasi eufemistico, venire meno a qualcuno, o venire meno in senso assol., quindi morire; sentirsi m., essere sul punto di perdere i sensi, di svenire. d. Esserci in meno rispetto a una quantità, a un numero determinato, occorrere ancora per raggiungere una misura, un termine o un limite, per conseguire uno scopo, e sim.; 2. intr. (aus. avere) Riferito a persona o cosa, come soggetti, e accompagnato da un complemento: a. Essere privo (di qualche cosa): una persona che manca di coraggio, di giudizio, di capacità; un discorso che manca di logica; b. Venire meno, sottrarsi (a qualche cosa): mancare alla parola data; m. a sé stesso, agire in modo non degno di sé; m. ai proprî impegni, al proprio dovere. c. Trascurare, omettere, cessare (di fare qualche cosa); 3. tr. Fallire: m. il colpo, non colpire nel segno; m. la coincidenza, perderla. 

 

pulsione s. f. [dall’ingl. pulsion, che è dal lat. tardo pulsio -onis «lo scacciare»]. – Spinta, impulso. 1. Con sign. concreto, in meccanica, sinon. di forza (in partic., di forza impulsiva); 2. Con sign. fig., in psichiatria, p. endogena, la spinta che deriva da processi psichici che comportano bisogno, appetizione, volizione. In psicanalisi, processo dinamico traspostosi nella psiche da un’origine somatica, vitale, esistenziale, ma, quanto alla meta, e a differenza dell’istinto, non rigidamente e univocamente determinato: p. sessuale, distinta dall’eccitamento sessuale come evento fisiologico, è presente in varie forme a seconda della fase libidica in cui si manifesta; p. di vita, le pulsioni sessuali e la tendenza all’autoconservazione intese come manifestazioni del «principio del piacere»; p. di morte, in contrapp. alla pulsione di vita, controversa nozione che esprime la tendenza al regresso totale, in base al «principio del nirvana», da qualsiasi stato di tensione alla precedente stasi e quiete.

 

refuso s. m. [dal lat. refusus, part. pass. di refundĕre «riversare»; v. rifondere]. – In tipografia, errore di composizione o di stampa prodotto dallo scambio o dallo spostamento di una o due lettere, o segni, causato spesso da errata collocazione dei caratteri nella cassa (per quanto riguarda la composizione a mano), o da errore del tastierista o da difetto meccanico (nella composizione a linotype o a monotype). In senso lato, errore tipografico in genere, o anche di fotocomposizione.

 

scoprire v. tr. [comp. di s- e coprire] – 1. a. Togliere ciò che serve a coprire, a riparare, a nascondere alla vista; In partic., togliere, sollevare gli indumenti o le coperte che riparano il corpo o una parte di esso, lasciare scoperto; Per estens., s. una statua, una lapide, inaugurarle togliendo il velo che le riparava alla vista. In senso fig., s. gli altari (più com. gli altarini), rivelare ciò che altri voleva tenere nascosto o riservato; b. Lasciare senza difesa o protezione dalle offese del nemico o dell’avversario; più com. con la particella pron.: scoprirsi il fianco, lo stomaco; In senso fig. la locuz. s. o scoprirsi il fianco, esporsi agli attacchi dell’avversario, mostrare o lasciare indifesi i proprî punti deboli. 2. fig. a. Rendere visibile, permettere di vedere: il vento, spazzando le nubi, ha scoperto la vallata; s. le carte, rivoltarle dalla parte in cui sono segnati i semi e i punti, e, in senso fig., manifestare chiaramente le proprie intenzioni, i proprî piani; b. Rendere manifesto; palesare, rivelare: s. i proprî sentimenti, le proprie intenzioni; come rifl., manifestare il proprio modo di sentire e di pensare, e più genericam. esporsi; 3. letter. Riuscire a vedere, a distinguere ciò che prima per qualche motivo non si vedeva o che comunque si presenta alla vista come un’apparizione nuova; 4. Acquisire alla conoscenza e all’esperienza umana nozioni, fatti, oggetti, luoghi prima ignoti: s. la verità; s. un segreto; 5. Individuare, identificare: s. il ladro, l’assassino; per estens., riconoscere in una persona caratteristiche, qualità, pregi e sim. fino a quel momento ignorati o sottovalutati; e con compl. predicativo dell’oggetto: l’ho scoperto capace di profonda amicizia.


tradire v. tr. [lat. tradĕre «consegnare», attraverso il sign. di «consegnare ai nemici», «consegnare con tradimento»; – 1. a. Venire meno ai propri doveri più sacri, mancando alla fede debita o data, a impegni presi solennemente, alla fiducia che altri ha in noi; t. lo stato; t. la causa per cui si è combattuto, i propri ideali; t. il segreto, rivelare o divulgare cosa che si doveva tener segreta. In partic., mancare alla fedeltà verso il coniuge o la persona cui si è sentimentalmente legati. b. Con uso assol., commettere un tradimento: non è capace di tradire; non posso fidarmi di chi ha già tradito una volta; 2. estens. a. Deludere, agendo in modo contrario all’interesse, all’aspettativa, alla convenienza: t. l’aspettazione altrui, fare cosa contraria o dare risultati molto inferiori al previsto; analogam., t. la propria fama; t. la verità, occultarla o falsarla; t. un autore, un testo, interpretarlo o tradurlo in modo da falsarne il pensiero. Con sogg. di cosa: se la memoria non mi tradisce, se non mi inganna; la parola ha tradito il suo pensiero, ha alterato il suo reale intendimento; b. Palesare persona o cosa che vorrebbe o dovrebbe restare nascosta: t. sé stesso, o tradirsi, rivelare involontariamente la propria presenza, o, più spesso, manifestare involontariamente sentimenti, pensieri o intenzioni che si volevano tenere celati; e in genere, manifestare, mostrare, far conoscere; e con soggetto della cosa che serve a rivelare: deve controllarsi attentamente: basterebbe un nonnulla a tradirlo; solo il pallore del volto tradiva la sua preoccupazione. 3. letter. ant. Consegnare proditoriamente: tradirono la città, i castelli al nemico.

Paul Edmunds, Lion (2015).png
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