Zetaesse
Catenaria
di ANDREA AMOROSO e ALESSIA MUSOLINO
Nello scritto che segue si proverà a legare alcune immagini di architetture care agli autori per il tramite di un dettaglio, di una suggestione, di un particolare, inanellandole tra loro in una sequenza che verrà chiamata catenaria. L’una immagine cederà alla successiva traendola a sé, come in un flusso di coscienza architettonica fatto di reminiscenze, di atti fondanti che cercano nel proprio personale musée imaginaire; si procederà, così, in un’enfilade di spazi appesa a due punti estremi e soggetta soltanto al peso proprio.
1. SAINT JULIEN LE PAUVRE, PARIS – 1170-1240

Nella sua Architettura Ragionata Viollet-Le-Duc scrive: «La prima legge dei maestri medievali era la sincerità. (…) Per essi una sala è una sala, una casa è una casa, un palazzo è un palazzo, una chiesa una chiesa (…). È un salone? Le finestre saranno alte e larghe. È una serie di celle? Le finestre saranno frequenti e piccole. (…) Saper dire solo ciò che è necessario (…) è una prova di gusto».
La piccola chiesa, la chiesa povera, si trova al numero uno della stessa povera via di Saint Julien. Non ha un viso da guardare, non ha una forma da ricordare, ha un cuore di pietra e fumo (grigio), come da sempre è, sui sedili. L’interno è reso possibile dalle volte a ogiva accennate, tese il giusto. Le vetrate sono bianche (bianco) come gli occhi che non vedono il mistero.
2. CASA MULTIFAMILIARE, POSILLIPO – Massimo Pica Ciamarra, 1964

La casa è bianca e i suoi occhi sono a nastro, non guardano fuori ma tendono il fuori fino a farlo diventare acuminato. La linea retta è spezzata, come la facciata di Saint Julien; tutto diventa spigoloso e istilla un’aspirazione a farsi rotondi e abbandonarsi a un rotolamento indeciso, vago.
Domina l’incastro, la funzione è invisibile, il cielo gioca a farsi soffitto e a mutare d’umore al cambiar della percezione. La casa si fa piccola come i nostri bisogni, enorme come i nostri desideri.
3. MAISON TZARA, PARIS – Adolf Loos, 1926

Posti di fronte alla soglia l’ingresso si sottrae e lo spazio d’accesso si tende ad arco. Alterità negli ordini giganti che rimandano ad antichi complessi sepolcrali: no, l’uomo non è una bestia.
Imponderabili cose accadono al piano di sopra.
«Un rettangolo bianco, un viso. Questo viso è già un buco nero? Un buco nero su un muro bianco» (Gilles Deleuze).
4. TOMBA BRION, ALTIVOLE (TV) – Carlo Scarpa, 1978

Il sepolcro è asimmetrico, il viso è scomparso. Niente sorregge, le travature sono dissimulate nelle scanalature infinite. Passa un filo d’aria, l’occhio è in cerca di spiragli di tempo futuro. Il battito rallenta fin quasi a fermarsi: il passato è in una parola che aleggia. Si cammina passo a passo, ci si duole di non poter restare a lungo.
5. COMPLESSO FUNERARIO DI ZOSER, GIZA – Imhotep, 2630 a.C.

Nell’esilità delle paraste che vengono fuori dal muro, il miracolo della materia che si trasfigura.
6. PALAZZO DI PROPAGANDA FIDE, ROMA – Francesco Borromini, 1644

La scatola è vuota. Anzi, il vuoto si fa scatola. Abbiate pietà di coloro che ambiscono a qualcosa. «Cercatemi e fuoriuscite» – scrive Amelia Rosselli. Qui è tutto da cercare in conche.
7. CASA PAPANICE, ROMA – Paolo Portoghesi e Vittorio Gigliotti, 1970

Il vuoto si fa cerniera, cum cavo-cum vexusattraverso i corridoi, zigzag nelle vite dei dodici cesari fino al balcone: “ Ma che so ‘ste canne?”. Poi dall’alto, tortile come un rettile, scende il soffitto, a gradienti, a onde, a chiazze, a curve di livello; sopra, sotto, attraverso il pavimento: umore ventricolare.
Una piccola citazione miesiana nella zona pranzo. “Adela’ te vonno ar telefono!”.
8. CENTRO GEORGES POMPIDOU, PARIGI – Piano, Franchini, Rogers, 1977

In casa non c’è nessuno, mi hanno persino staccato il telefono. Vediamoci al Beaubourg, è quella cosa che si inserisce in un’altra cosa facendola diventare sé stessa per una volta sola. Prendi le scale mobili, poi fermati, poi riprendile. Guardati anche dal basso mentre sali, così abbiamo una cosa da fare in due. Non vieni da sola? E perché? Va bene, di’ alla tua amica che non voglio strutture, né sopra né sotto. Portati qualcosa di pesante, qui è tutto uno spiffero.
9. KUNSTHAL, ROTTERDAM – Rem Koolhaas, 1992

Attraversami
– dentro, fuori, dentro, fuori, dentro, ecc…
la Bigness.
10. PONTE GENERAL RAFAEL URDANETA, LAGO DI MARACAIBO, VENEZUELA – Riccardo Morandi, 1962

Al secondo strallo un uomo riprende fiato, ha appena visto la morte in faccia.
11. PONTE COPERTO, PAVIA – Giovanni da Ferrara e Jacopo da Cozzo, 1351 (ricostruito nel 1951)

Tra le arcate sulle acque cerulee rumore di passi, figure brune tra le mura rosse, da sempre.
Il ritmo era irregolare perché l’idea era preceduta dall’accadimento, la rappresentazione dall’evento e nessuno aveva memoria dei teatrini e delle risa, all’alba, nella bruma del mille.
Nebbia fitta anche la notte di Natale.
12. CENTRO FONTIVEGGE, PERUGIA – Aldo Rossi, 1988

Come in un teatro d’un altro tempo, il frontone cerca un azzurro da scenografia. Il grande somiglia al suo piccolo, l’edificio si fa modellino. Si cerca un’apertura nel teatro di posa. Domanda: “Girare intorno a una colonna o girare un film?”.
13. QUARTIERE E.U.R. già E42, ROMA – AA. VV., 1937–fine anni Cinquanta

Più della posa poté qui la scena: abbiamo trovato un magnifico luogo dove dimorare poiché non è ivi possibile la vita!
Come in un quadro si inanellano luoghi per fantasmi, per statue, luoghi bianchi (bianco) per ciechi, per romanzieri, per pittori, per quei personaggi che abbiamo amato nelle arti figurative, per il nostro mondo placentare che trova qui strade e mura per chiudervisi e poi per dirsi.
Sulle terrazze soleggiate ma di un sole smorto, asettico, privo di calore, e più avanti – nella pace eterna, nella pace romana – avanti e poi a destra lungo la strada immensa – è impossibile attraversare: i fasti, le iscrizioni nel marmo, i volti muti, le facciate assenti, i cenni alle Vittorie, ai Colossi, alle Statue Equestri.
Gli spazi stanno per essere, mai finiti, dati e decaduti, deceduti nell’eco al loro interno: trionfo dell’inorganico.
E dentro questi fogli, dentro questo magma primordiale che è già cenere (bianco), qui (ma dove?) è possibile ricordarsi di tutto: quaderno senza margini.
14. CASTELLO DI CHANTILLY – Jean Bullant (XIV secolo), poi ricostruito da Honoré Daumet nel 1882
